«Hanno preso questa sostanza, il PFOA, e l’hanno rinominata C-8, ottenendo un rivestimento impenetrabile […] per le padelle. Lo chiamarono Teflon, uno splendente simbolo dell’ingegno americano fabbricato proprio qui negli Stati Uniti, a Parkersburg, in West Virginia. Ma fin dall’inizio qualcosa non andava. Gli uomini e gli operai che assemblarono il Teflon iniziarono ad avere nausee e febbre. La DuPont si domandò il perché, così corressero alcune sigarette con il Teflon e dissero a dei collaboratori: “Ehi, provate queste”. Alla DuPont tutti eseguirono l’ordine. La maggior parte di loro finì in ospedale. Era il 1962, il Teflon era stato lanciato da un anno e la DuPont sapeva già tutto». Così Mark Ruffalo, il protagonista del film del 2019Dark Waters, diretto da Todd Haynes, sintetizza la propria scoperta, in una delle scene-chiave della pellicola. Il filmsi ispira a un articolo comparso nel 2016 sulNew York Times Magazine, intitolatoThe Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare(L’avvocato che è diventato il peggior incubo della DuPont), firmato da Nathaniel Rich, che ripercorreva letappe principali che hanno portato l’avvocato Rob Bilott a occuparsi di una questione diventata un caso di salute pubblica. Il regista recupera il tono documentario e d’inchiesta che accompagna tutto lo scritto di Rich, trasponendolo sul grande schermo in unthrillerche lascia poco spazio all’immaginazione e di cui vengono documentate e ripercorse minuziosamente tutte le tappe e levicende giudiziarieche hanno tenuto impegnati per anni sia Bilott, sia i residenti di Parkersburg, una cittadina del West Virginia in cui sorgeva una delle più grandi fabbriche DuPont. A partire dalla denuncia di un possidente terriero e allevatore, Wilbur Tennant (Bill Camp), inizialmente inascoltato-come spesso accade in questi casi-emersero amare verità sucome la DuPont, azienda leader (nonché inventrice) del Teflon, materiale usato principalmente come rivestimento impermeabile per rendere antiaderenti padelle e altri utensili da cucina,abbia volontariamente avvelenato i cittadini di questo sobborgo statunitense. Non solo rilasciando materiale discarico nelleacquedei ruscellicircostanti (acqua che gli animali di Tennant hanno sempre continuato a bere con gravi e ben visibili conseguenze sul loro stato di salute), ma anchelasciando che i lavoratori si recassero in fabbrica senza alcun tipo di protezione. In questo modo l’azienda ha fatto sì che centinaia di migliaia di persone sviluppasse malattie-nella stragrande maggioranza dei casi-incurabili. A partire dalla scoperta di questo consapevole avvelenamento, Bilott fa emergere tutta una serie dicrimini annessi all’insabbiamento: scienziati corrotti, occultamento di prove, danni ambientali perpetrati continuamente a partire dagli anni ’60: tutto questo a carico di una grande multinazionale che, con gli occhi e le mani tese al profitto, ha semplicemente fatto finta di niente, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Haynes, con la sua pellicola, riesce molto bene a trasmettere lasensazione di impotenza e di inutilitàprovata dai cosiddetti “ultimi”: a nessuna grande multinazionale, evidentemente, importa della salute e del benessere di abitanti di una piccola cittadina di campagna. In un crescendo di tensione, alla quale si accompagna, parallelamente, un grande senso di frustrazione, Bilott arriverà a compromettere l’equilibrio della propria vita privata, pur di arrivare fino in fondo ai procedimenti giudiziari intrapresi e far sì chel’azienda riconosca i propri crimini, pagandone le conseguenze. Il regista dipinge la DuPont (come molte altre fabbriche inserite in contesti di mercato globale e mondiale) come un gigante estenuante contro cui combattere che rende la figura diRob Bilottquasiun moderno Don Chisciotteche lotta contro i mulini a vento pur di averla vinta su una causa che dovrebbe essere di interesse comune e tutelata da un governo che, invece, ha scelto di dare le spalle ai propri cittadini.
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