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Cambiamento climatico e resistenza agli antibiotici sono collegati?

 

Secondo un rapporto pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms),nel 2020 le infezioni del sangue umano causate dalNeisseria gonorrhoeae(l’agente eziologico che provoca la gonorrea), dall’Escherichia colie dallaSalmonellasono diventate almenoil 15% più resistenti rispetto al 2017. Ad aggravare ulteriormente il problema c’èl’abuso e l’utilizzo improprio degli antibiotici per combattere le infezionipresenti nelle persone, in altri animali o nelle piante. I batteri possono infatti sviluppare resistenza ai farmaci attraverso mutazioni del Dna che alterano la parete cellulare batterica in modo tale chegli antibiotici non possano più funzionare, o assumendo la capacità di abbattere gli antibiotici. I ceppi batterici che diventano resistenti sono di conseguenza quelli in grado di riprodursi più facilmente, e a favorire questo processo possono essere vari errori, come l’utilizzo di antibiotici sbagliati per trattare le infezioni, o undosaggio insufficiente a uccidere i microrganismi, che concede più tempo di moltiplicarsi ed eventualmente evolversi diffondendo la capacità di resistenza. Anche il cambiamento climatico gioca la sua parte: l’aumento delle temperature minime medie è stato collegato a tassi più elevati di resistenza agli antibiotici,probabilmente perché facilita l’evoluzione dei batteri. Inoltre, temperature estreme possono costringere le persone atrascorrere più tempo in ambienti chiusi, dove l’infezione può diffondersi più facilmente. Anche le conseguenze degli eventi meteorologici più estremi (inondazioni,siccità,uraganieincendi) possono esacerbare il problema poiché comportano spesso unariduzione dell’accesso all’acqua pulita, portando a condizioni igieniche più scarse e a una più facile diffusione di infezioni. Come riportato daNature, i ricercatori stanno esplorando come l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici possa influenzare la resistenza agli antibiotici. Nel novembre 2022, il team del microbiologo Lianping Yang dell’University of Sun Yat-sendi Guangzhou ha raccolto i dati dei pazienti ricoverati negli ospedali di 28 province e regioni cinesi combinandoli con le informazioni sulle temperature medie dell’aria di questi luoghi. Il team di ricerca, tenendo conto anche dei vari fattori che potrebbero influenzare i tassi di resistenza ai farmaci, tra cui il livello di consumo di antibiotici, l’umidità media, le precipitazioni annuali e la densità della popolazione ha scoperto chel’aumento di 1 ºC della temperatura media dell’aria corrispondeva a un aumento del 14% delKlebsiella pneumoniae, batterio resistente alla sottoclasse di antibioticiCarbapenemi, “di solito riservati per il al trattamento di batteri che sono resistenti a tutti gli altri antibiotici”. Il team di ricerca di Yang ha inoltre collegato unaumento della temperatura media dell’aria di un grado a un aumento del 6% della percentuale di campioni contenenti un altro batterio resistente aiCarbapenemi, loPseudomonas aeruginosa. Non sono state riscontrate variazioni in base alla temperatura nel caso dell’Acinobacter baumannii. «Questi studi non hanno mostrato un nesso causale tra temperatura e resistenza agli antibiotici»,ha detto Yang. Secondo Steven Hoffman, ricercatore sulle politiche sanitarie allaYork Universitydi Toronto, è necessario un trattato internazionale che delinei obiettivi comuni per affrontare insieme questi problemi, la cui soluzione deve passare da unriconoscimento delle disuguaglianze tra le nazioni più ricche e quelle più povere, più soggette ai problemi di resistenza agli antibiotici.

Redazione

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