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Cosa sono i panevìn e cosa c’entrano con l’inquinamento

 

Pignarûl, cabosse, panevìn, panaìn, panèra, capàn, pìroła-pàroła, vècia, fogherada e bubarata, foghèra, casèra, briolo, buriolo, brugnèlo, brujèo, bruja, burièl, fasagna. Non siamo impazziti e questo non è un incantesimo, ma itantissimi nomi con cui è conosciuta, a seconda delle zone,una tradizionepopolare diffusa soprattutto nell’Italia del Nord Est, ma anche nell’Emilia occidentale:quella dei falò di fine anno. Un’usanza che affonda le radici addirittura nell’epoca pagana pre-cristiana, ma che negli ultimi anni è stata messa in discussione – e talvolta vietata – a causa del suoimpatto ambientale. Generalmentei roghi vengono incendiati nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, la vigilia dell’Epifania, durante la quale vengonobruciate grandi cataste di frasche e tralci, in cima alle quali viene spesso posto un fantoccio chiamato la “vecia”, che simboleggia l’anno vecchio che deve essere bruciato per fare spazio al nuovo. Spesso i falò sono benedetti dal parroco del territorio e utilizzati perpredire il futuro nelle fiamme, grazie alla direzione delle scintille e del fumo. Peccato che questi fuochi – in cui talvolta bruciano anche materiali inplastica, pneumatici e legno trattato con collanti e solventi – siano accusati di contribuire a rendere il futuro meno roseo. Questa tradizione, molto diffusa in tutta la zona del Nord Est, in particolare nelle province di Treviso e Venezia, dove prende il più noto nome dipanevìn(pan e vin), infatti, sarebberesponsabile dell’aumento dell’inquinamentoatmosfericoe, in particolare, dellepolveri sottili, in un’area in cui la qualità dell’aria è già critica. Il dibattito attorno all’opportunità di proseguire una tradizione che potrebbe mettere in pericolo l’ambiente e le persone che lo abitano non è nuovo. Già 10 anni fa,il 6 gennaio del 2013, furono registrate concentrazioni di Pm10 circa tre volte più alte del limite giornalierodi 50 microgrammi per metro cubo d’aria in tutti i capoluoghi di provincia. Due anni dopo, le centraline dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav) ebbero problemi nel misurare la concentrazione di polveri sottili. Il motivo? Erano superiori al livello massimo di registrazione. Da diversi anni, quindi,alcune amministrazioni hanno preso provvedimenti, vietando i panevìn e i roghidi inizio anno nei loro territori. Unadecisioneche, però, non è stata unanime ma che, anzi, è statacontrastata proprio dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che nel 2016 aveva criticato le ordinanze e poi, accendendo uno dei più famosi roghi – quello di Arcade, un piccolo comune nella provincia di Treviso -aveva detto«ogni anno il primo gennaio inizia il solito cerimoniale, come se i panevin fossero la causa di tutti i mali. Qualcuno pensa che un metro e mezzo sia sufficiente. A me quello non sembra un panevin». A distanza di anni, però, la situazione non è cambiata e sono le ordinanze a livello locale a proibire, limitare o consentire i roghi di inizio anno – o a cercare alternative più sostenibili, come i roghi digitali – mentre i livelli di polveri sottili Pm10 rimangono spesso fuori controllo nella Pianura Padana e nelle zone limitrofe. Addirittura,quest’anno la tradizioneverrà portata Oltralpe: il 6 gennaio 2024 il Panevìn si accenderà anchenella città francese di Auterive, grazie al gemellaggio con l’italiana Cordigliano. Non è la prima volta, però: da alcuni anni il dipartimento della Haute-Garonne vicino a Tolosa celebra questa ricorrenza.

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