Immagina una tavola diNatalesenza persone che parlano, scherzano e si scambiano battute e riflessioni. Una stanza ricca di cibo e regali, ma vuota. Immagina poi una stanza senza regali e con un pranzo normale, ma piena di persone che parlano animatamente. Che la vita sia solo nel secondo caso è evidente. Che la felicità sia solo nel secondo caso è altrettanto evidente. Sembra una piccola banale riflessione ma non lo è. Cominciare amettere a fuoco le fonti del nostro piacere e della nostra gratificazione è importante. Quell’oggetto che mi stanno donando mi dà felicitào a darmela è che una persona ha pensato a me, ha dedicato tempo a riflettere su ciò che mi poteva far piacere? Il piacere sta nel dono in quanto tale o nello scambio? E se invece del dono, ci fosse stato un abbraccio, un bicchiere di vino, del tempo sarebbe cambiato poi così tanto? Se gli oggetti sono, al massimo, un “contorno” A guardar bene, le cause delnostro benessereraramente sono oggetti materiali. Certo, questi possono essere un contorno, qualcosa che si aggiunge, ma mai la parte essenziale. Certo,con i soldi si comprano cose immateriali, come vacanze, esperienze etc. Ma resta il fatto che anche nelle vacanze resta centrale con chi le facciamo, ovvero le persone, le relazioni. E probabilmente si potrebbero fare con quelle persone altre cose che pure non comportano spostamenti costosi e che sarebbero altrettanto piacevoli. Se la persona amata c’è,il posto è relativo. Guarda i bambini. Quando c’è un amico nulla conta, basta una stanza, una palletta di carta, un palloncino.Il resto è gioia che non vuole finire. Mi pare interessante parlare di questoil giorno di Nataleperché questaresta la festa delle relazioni, anche se viene impropriamente associata a consumi e regali. In verità, è la festa della natalità, una nuova relazione per eccellenza, una nascita. È bello che un bambino abbia tutto ciò di cui ha bisogno, così come doni e una stanza confortevole e giocattoli etc ma, di nuovo,il nucleo primario della felicità è la nostra relazione con lui. Il fatto che esista e lo possiamo abbracciare, amare, addormentare. Quando i ricchi erano immorali (e i poveri aiutati) Tutto ciò andrebbe ricordato in unperiodo storico e sociale infelice. E non solo per l’orrore delleguerre in corso, dellemigrazioni, deimorti in mare, dellacrisi climatica. Ma perché abbiamo dimenticato cosa ci dà veramente felicità e continuiamo, impropriamente, ad associarlo ai soldi, invece che al tempo e alla condivisione, soprattutto. Continuiamo ad associarlo ai soldi perchél’intero sistema è fondato sui soldi, chi non li ha è miserabile, chi li ha è ammantato di un valore morale speciale. Pensa, che cosa incredibile: siamo riusciti a rovesciare completamente la struttura morale di pochi secoli fa, dove i ricchi, Vangelo alla mano, erano coloro che rischiavano di finire agli inferi e dove i poveri erano beati. “Beati i poveri”, dice appunto l’evangelista e in passato i poveri erano in un certo modo sacri. Se leggi, per esempio,La famiglia Manzonidi Natalia Ginzuburg ti potrai immergere in una realtà storica e sociale complicata e drammatica, ma dove fare la carità ai poveri era la prima cosa, la più importante e obbligatoria. Il recente caso della beneficenza “finta” di Chiara Ferragni, espressione di un sistema che evidentemente a livello etico e ambientale è diventato insostenibile, ne è un esempio. Ai ricchi tutto è concesso, ai poveri nulla. Infatti un povero, magari immigrato, va in prigione per inezie, viene condannato moralmente per piccolissime cose. Il volontariato? Altro che dovere, è gratificante Forse è giunto il momento di rompere questo schema. E non è solo una questione di diseguaglianza orribili e sempre più ampie. E non è solo per la crisi ambientale (ma anche). È che bisogna cominciare a dire chela moralità non può essere associata ai soldi. Che i soldi non ci danno la felicità ma che, anche, bisogna decostruire una società dove chi non li ha è infelice, come un ragazzino adolescente che vede i suoi compagni comprarsi abiti firmati e lui non può. È tremendo e ingiusto, ma la soluzione non sta nel far sì che anche lui possa acquistarli, almeno non solo, ma che quelle firme non siano più associate al riconoscimento, all’amicizia e al benessere. Le associazioni di volontariato, le parrocchie, in generale tutto il mondo di persone che fanno cose per altri e tengono insieme questo Paese che, diciamolo, su di esse si fonda, potrebbero testimoniarlo:fare volontariato, aiutare, sostenere gli altri non è uno sforzo morale o una fatica, ma una fonte di gratificazione. Passare una cena di Natale a servire i senza dimora è centomila volte più emozionante che fare una ricchissima cena borghese in un lussuoso appartamento. Non è retorica. È la realtà. E questa realtà bisogna cominciare a raccontarla. Per cambiare noi e la società.Oggi, giorno di Natale, è un buon giorno per cominciare.
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