L’ultima – presunta – giornata di Cop28 si è aperta questa mattina a Dubaicon le parole diAntonio Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, che è tornato a Dubai per esortare ancora una volta gli Stati a spingere per un accordo ambizioso in linea con la voce della comunità scientifica. «Ora è il momento della massima ambizione e della massima flessibilità. I negoziatori vadano oltre le posizioni trincerate e le tattiche di blocco», ha poi aggiunto, esprimendo la richiesta di unimpegno duplice: ridurre le emissioni di gas serra e garantire la giustizia climatica. Ribadisce poi ancora una volta i tre ingredienti fondamentali per la buona realizzazione di questa ricetta, l’unica per limitare il riscaldamento globale alla soglia di 1,5 °C:energie rinnovabili, efficientamento energetico, eliminazione dei combustibili fossili. «IlGlobal Stocktakedeve offrire un piano chiaro pertriplicare le energie rinnovabili, raddoppiare l’efficienza energetica e concentrarsi unicamente sull’affrontare la causa principale della crisi climatica:la produzione e il consumo di combustibili fossili». Nel suo monito conclusivo, torna il tema delphase out, la bestia nera (odeus ex machina, dipende dai punti di vista) di Cop28. «È essenziale che ilGlobal Stocktakericonosca la necessità di eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili in un arco di tempo coerente con il limite di 1,5 °C e di accelerare una transizione energetica giusta, equa e ordinata per tutti». Il discorso di Guterres, come al solito, è stato molto incisivo. L’appello a superare la logica delle alleanze, però, rimane chiaramente un’utopia. Da sempre, infatti, le Conferenze delle Parti restituiscono una fotografia piuttosto nitida dello scacchiere geopolitico internazionale e del posizionamento strategico degli Stati. Esaranno proprio dinamiche strettamente geopolitiche a determinare l’esito di Cop28. Gli obiettivi enumerati da Guterres sonoincarnati e sostenuti con forza da una coalizione di circa 80 Paesitra cui Stati Uniti, Unione europea e piccole nazioni insulari che da giorni spingono per inserire nel testo dellacover decisionla volontà di“eliminare gradualmente” i combustibili fossili. Le nobili intenzioni di questo blocco devono peròscontrarsi però con un muro che sembra molto difficile da abbattere, rappresentato principalmente da tre attori: Russia, Arabia Saudita e Iran. Si tratta di un’opposizione durissima, ostinata, chetrova nei Paesi Opec produttori di petrolio e nei suoi alleati degli ostacoli inamovibili. Questi Paesi continuano infatti a ribadire un no deciso all’inserimento dell’eliminazione delle fonti fossili dal testo finale, perché ciòarrecherebbe alle loro economie danni irreparabili. La loro posizione è quella disupportare la riduzione delle emissionisfruttando il potenziale innovativo delle nuove tecnologie, su tutte quella di cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), dimostratasi per ora altamente costosa, inefficace e difficilmente applicabile su larga scala nei tempi che sarebbero necessari. Nel primo pomeriggio arriva una prima, dolorosa, risposta. Alle 16:30, ora di Dubai, è finalmente stato pubblicato il tanto agognato testo delGlobal Stocktake. Va detto: la nuova versione della decisione finale è molto diversa dalla precedente. Tanto per cominciare,ilphase outdei combustibili fossili non è più nel testo. Al suo posto, un vago impegno a “ridurre il consumo e la produzione dei combustibili fossili al fine di raggiungere livelli di zero emissioni nette prima, entro, o intorno al 2050”. Questi indicatori temporali non potrebbero essere più inconsistenti. Come volevano i Paesi Opec, Emirati Arabi Uniti compresi, nel testo è stata incluso unchiaro riferimento allelow emissions technologies: oltre alla tanto agognata tecnica del Ccs figurano ancheil nucleare e idrogeno a basse emissioni. Il ricorso di queste tecnologie sarebbe giustificato – si legge dal testo – dalla volontà di “aumentare gli sforzi verso una sostituzione delle emissioni fossiliunabated”. Ancora una volta, nessuna menzione a obiettivi quantitativi e temporali chiari e un affidamento esclusivo alle tecniche di rimozione della CO2. L’unica magra consolazione è la conferma, sempre all’articolo 39 – quello che contiene gli elementi cruciali delGlobal Stocktake– degli obiettivi di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. Siamo realisti: a meno di sorprese, è molto difficile pensare che questoGlobal Stocktaketroverà l’assenso di tutte le parti in seduta plenaria. Secondo l’opinione a caldo diEcco, think tank italiano sul climapresente a Dubai, «si tratta di una prima proposta di compromesso ma dubito che questo testo, così com’è, possa accontentare le richieste dei vari gruppi», ha commentato Eleonora Cogo, esperta senior riforme e finanza internazionale diEcco. Allo stato attuale, questo testo è infatti quanto di più lontano possa esserci dalle ambizioni necessarie a mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 °C, ed è per questo completamente irricevibile, soprattutto per i piccoli Stati insulari che rischiano di essere sommersi entro la fine del secolo. A tal proposito, proprio John Silk, ministro delle risorse naturali delle Isole Marshall, ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti: «Non andremo silenziosamente nelle nostre tombe d’acqua». Parole tanto tremende quanto comprensibili. Dal loro punto di vista, questa versione delGlobal Stocktakesuona quasi come una condanna a morte.
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