Nei giorni scorsi sui social è circolata tantissimoquesta poesia del 2011 dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres: è stata dedicata aGiulia Cecchettin,la105° donna uccisa da un uomonel 2023, l’83° in ambito familiare/affettivo;secondo i dati del Ministero dell’Interno, aggiornati al 12 novembre, 53 sono state uccise dapartner o ex. Ora, con ilfemminicidio a Fano,dove un uomo di 70 anni ha ucciso la moglie, e di Cecchettin, siamo a quota55. Laviolenzaè figlia di società maschio-centriche, di norme patriarcali che considerano ledonne come una proprietà, un’entità subordinata da controllare, senza alcuna libertà di scelta e indipendenza: basti pensare che il16% degli uomini ritiene sia giusto che in casa sia il maschio a comandare. Oltre allaviolenza fisica e sessuale, esistono altre tipologie di molestie: verbale, psicologica,economica, spesso meno conosciute perché più subdole, meno evidenti, ma non per questo meno diffuse. Sarebbe sbagliato categorizzarle come “entità” separate, perché ogni forma èinterconnessacon le altre (anche se alcune sono più evidenti, come la violenza fisica e sessuale che, non a caso, viene considerata la forma più grave di violenza contro le donne da 1 italiano/a su 2). Secondo l’indagine diWeWorldeIpsos,contenuta nel reportCiò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica,realizzato in vista della giornataGiornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il49%delle intervistate ha subitoviolenza economicaalmeno una volta nella vita; il dato sale al 67% se si considerano le donne divorziate o separate. Eppure, questa forma di violenza è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini e delle cittadine. Che cos’è la violenza economica? Anche laviolenza economica, come tutte le altre forme, si basa su uncontrollo nei confronti delle donne, ma non è sempre facile verificare quanto pervasiva sia questa sorveglianza. Infatti, nonostante sia una realtà diffusissima,non esiste ancora una definizione condivisanei diversi ordinamenti statali di cosa costituisca una violenza economica. In generale, tutti i comportamenti che puntano acontrollare l’abilità della donna di “acquisire, utilizzare e mantenere”risorse economiche rientrano nell’abuso che, a sua volta, è spesso parte di un più ampio ciclo di violenza (fisica, psicologica ecc.). Nel mondo,1,4 miliardi di donne vivono in Paesi che non riconoscono la violenza economicanei loro sistemi legali o non forniscono protezione alle vittime, ricordaWeWorld.Secondo l’European Institute for Gender Equality,il 12% delle europee ha subito abusi che includevano violenza economica fin dai 13 anni. Tuttavia, scrive la onlus italiana nel suo report, “la violenza economica è ancora scarsamente riconosciutae viene spesso confusa con altre forme di violenza, come quella psicologica. Si può, pertanto, ipotizzare che allo stato attuale il fenomeno sia largamentesottostimato”. Ciò può portare a unasvalutazionedell’abuso economico: quando a indiane e indiani, infatti, è stato chiesto di identificare comportamenti di violenza domestica, quasi il 64% del campione ha scelto quella economica, mentre il 67,5% la psicologica e il 75% l’abuso verbale. Situazione analoga anche in Turchia, dove la violenza economica è stata spesso indicata per ultima dalle donne a cui è stato chiesto di elencare forme di violenza domestica. Ancora, nel Regno Unito 2 persone su 3 hanno detto di non aver mai sentito il termine “abuso economico”; negli Stati Uniti il tasso tocca il 78%. L’Italia non rappresenta certo un’eccezione: 10 anni faWeWorldaveva rilevato una scarsa propensione nel considerare la violenza economica una forma di molestia “a tutti gli effetti” rispetto ad altre forme considerate più gravi, come per esempio la violenza fisica o sessuale.Eppure, secondo l’indagineLa cultura della violenza(realizzata sempre daWeWorldeIpsosnel 2021), il12%delle intervistate aveva dichiarato di essere statacontrollata dal proprio partner nella gestione dei soldi. In molti casi, poi, questo controllo patriarcale porta le donne anon essere indipendenti: la ricerca condotta dalla societàEpistemenel 2019 ha rilevato che il 37% delle italiane non ha un conto corrente, mentre secondo il sondaggio dellaGlobal Thinking Foundationdel 2022, il 44% delle donne non ha accesso alle risorse economiche familiari, il 23% ha un partner che sabota il suo lavoro o le sue opportunità e il 22% un compagno che non vuole espressamente che lavori. La violenza economica: un po’ di dati A settembre l’organizzazione italiana indipendenteWeWorldha condotto insieme aIpsosun’indagine intervistando 1.200 persone (di cui 209 donne separate o divorziate) per valutare la percezione di italiani e italiane relativamente allaviolenza di generee, in particolare, economica. Dall’indagine è emerso che a1 donna su 10 è stato negato di lavorare dal partnere che, secondo quasi 1 italiano/a su 2, le donne sono più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso al mercato del lavoro rispetto alla loro controparte maschile. Anche ostacolare le carriere delle proprie compagne è violenza economica: nel 2018, ben 104 economie mondiali su 189 avevano leggi che vietavano alle donne di svolgere determinate professioni, mentre 59 non avevano norme relative alle molestie sui luoghi di lavoro; in 18 casi, inoltre, i mariti potevano legalmente impedire alle mogli di lavorare. Inoltre, dalla ricerca diWeWorldè emerso chepiù di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) ha subito le decisioni finanziarie del suo partnersenza essere stata consultata prima; che, dopo la separazione o divorzio, il61% delle donne ha vissuto un peggioramento della propria condizioneeconomica; che il 37% non ha ricevuto la somma di denaro concordata per la cura difigli e figlie. Guarda tutte le immagini della gallery>1/42/43/44/4IndietroAvanti Guarda tutte le immagini della gallery>1/4 2/4 3/4 4/4 Come si riconosce la violenza economica? Anche se rientra tra le tipologie più subdole e quasi nascoste, anche laviolenza economicapresenta alcunicomportamenti riconoscibili. C’è ilcontrollocon cui si vuole impedire o limitare l’utilizzo delle risorse finanziarie della vittima e il suo potere decisionale (per esempio, facendo domande su come sono stati spesi i soldi, impedendo di avere o accedere a un conto corrente, pretendendo di autorizzare qualsiasi spesa); c’è losfruttamentoeconomico, ovvero quando l’autore della violenza utilizza le risorse della vittima a suo vantaggio (rubando denaro, proprietà o beni). Infine, c’è ilsabotaggioche si verifica quando viene impedito alla donna di cercare, ottenere o mantenere un lavoro o intraprendere un percorso di studi, distruggendo per esempio gli oggetti necessari a lavorare o studiare (computer, libri ecc.), non prendendosi cura di figli e figlie, impedendo quindi alla donna di lavorare o studiare. Infine, un altro comportamento abusante è il“sessismo benevolo”,una delle modalità di controllo più diffuse, che si verifica quando il partner si offre di gestire le finanze familiari in quantopersona “più esperta”, oppure suggerisce alla donna di lasciare il lavoro per permetterle di prendersi cura della famiglia o per “non farla faticare”. Gli effetti della violenza economica Le donne vittime di violenza economica spesso, proprio a causa di questo abuso, hanno unalimitata comprensione dei concetti finanziari di base,condizione che le porta a dubitare di sé stesse e a non cercare aiuto. Inoltre, hanno difficoltà alasciare il proprio partner: negli Stati Uniti, il 73% delle vittime di violenza economica ha spiegato di essere rimasta con il proprio compagno a causa di preoccupazioni finanziarie per mantenere se stessa e i propri figli. In questi casi, poi, è stata rilevata anche unacrescita dei debitiper le donne, sia durante che dopo la fine del rapporto con il partner: per indicare questa condizione, è stato coniato il termine“debito forzato”(coerced debt), ovvero il debito accumulato a nome della vittima da parte del compagno attraverso minacce, uso della forza o frode. Un altro effetto è la difficoltà per le donne di accedere ai beni di prima necessità, personali e alle proprietà: in alcuni casi, per esempio, sono state sottratte le chiavi di casa, dell’auto, impedendo alle vittime di fuggire o andare a lavoro. “Questa modalità – scriveWeWorld- viene spesso sfruttata in maniera intenzionale permonitorare i movimenti della vittima, sovrapponendosi all’abuso emotivo”. Inoltre, ci sono gli impatti sulla salute fisica e mentale (come per qualsiasi altra forma di abuso) e conseguenze economiche; in particolare “nella letteratura in materia di violenza economica, si parla dieconomic ripple effect(effetto di oscillazione economica) degli abusi domestici – spiega la onlus italiana – per cui le conseguenze economiche indirette e di lunga durata si ripercuotono sulla vita delle vittime, anche molto tempo dopo la fine dell’abuso”. Infine, la violenza economica pregiudica anche l’educazionee illavoro(in quanto riduce le opportunità di istruzione e sviluppo) e ilbenessere di figli e figlie(potrebbero esserci, per esempio, problemi con l’accesso ai pagamenti per il mantenimento o per le cure mediche: in Australia, il 46,1% delle donne intervistate nel 2010 riteneva che il proprio abusatore avesse danneggiato l’istruzione dei figli). Come (re)agire? Prevenire, riconoscere, interveniresono le 3 attività identificate daWeWorldper combattere (sempre,non solo il 25 novembre) la violenza economica contro le donne. Ma da dove partire? Dall’educazione:solo 1 persona su su 3, infatti, si sente veramente preparata sui temi legati al denaro e alla finanza; le donne, soprattutto le divorziate o separate, sono quelle che si sentono meno sicure. Oltre all’introduzione dicorsi dedicati all’educazione sessuo-affettiva, infatti, sarebbe utile per le giovani generazioni seguire anche curricula dedicati all’istruzione economico-finanziaria.Riguardo la possibilità di istituire programmi scolastici che educhino piccoli e piccole all’indipendenza economica e insegnino loro a gestire il proprio denaro, l’88%del campione coinvolto nell’indagine diWeWorldcrede che si debba partire dalle scuoleelementariemedie. Anche la scelta di una definizione condivisa di violenza economica che ne specifichi i comportamenti potrebbe aiutare uomini, donne, adolescenti e giovanissimi a riconoscerla e combatterla. Servono poi piùfinanziamenti al reddito di libertà(ovvero, il “sostegno economico per donne che cercano di allontanarsi da situazioni di violenza e sono in condizione di povertà”, spiegaWeWorld), più attività di empowerment femminile e prevenzione. Ma il cambiamento, prima di tutto, deve partiredalle società, da uomini e donne, dai mediae dalla loro narrazione romanticizzata degli omicidi, dei “delitti passionali”, fatti perché “l’amava troppo” anche se “era una bravo ragazzo”. Deve partire dal modo in cui ogni giorno vengonoraccontati gli abusi di genereche, come abbiamo visto, sono tanti, fisici e psicologici. Per farlo, l’unico modo èriconoscerli per quello che sono: violenze. Siamo stanche di essere sfruttate, controllate, violentate, abusate, uccise; stanche di dover continuamente ascoltare frasi come“Ma non tutti gli uomini”:chiamarsi fuori, deresponsabilizzarsi, non servirà. Bisogna riunirsi, collaborare, agire subito per tutte le donne che ogni giorno subiscono molestie; per le 106 uccise quest’anno. Per far sì chenon accada più.
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