Non è la prima volta in cuiDaniela Poggiscende in prima linea su temi stringenti, compreso quello dellaviolenza di genere:«È un tema talmente importante e determinante per la nostra vita e soprattutto per quello che potrà essere la società di domani per cui ritengo che sia giusto che un artista metta la propria sensibilità e anche i propri quesiti per sollecitare il pensiero per una maggiore consapevolezza riguardo questo argomento, che continua ad affliggere l’essere donna», ha spiegato Poggi aLa Svolta. Trovo che tutto sia peggiorato. Trovare una spiegazione diventa un po’ complicato. Ciò che mi sembra palese è che la donna negli ultimi 30 anni si sia evoluta notevolmente, ha trovato un suo ruolo in questa società, ha cercato di dimostrare il proprio valore in quanto individuo, al di là dell’essere figlia, moglie, compagna di un uomo. Ha portato avanti quelli che sono i suoi ideali, i progetti di vita professionale di conseguenza la ricerca di un’indipendenza economica e soprattutto il voler dire: io esisto, penso, sono, agisco in un certo modo. Perché mettere in competizione, facendo una differenza tra uomo e donna, sul piano professionale? Sembra che una donna automaticamente sia inferiore all’uomo. In tutto questo cammino verso una crescita personale, la figura femminile ha fatto passi da gigante, purtroppo quella maschile è rimasta ferma, in una sua atavica posizione: io sono quello che deve lavorare, che deve prendere decisioni, che porta il cibo a casa e tu devi essere dietro di me. Diventi importante nel momento stesso in cui sei accanto a me. Fortunatamente non sono tutti così. Questo spostamento di prospettiva ha creato un disagio. A ciò si aggiungono i fattori educativi, i retaggi culturali, la politica e la comunicazione dei media che non hanno saputo cogliere questo mutamento con attenzione, sensibilità e soprattutto profondità. Di conseguenza oggi se l’uomo decide di lasciare va tutto bene, ma se è lei a farlo non va bene in quanto viene considerata oggetto, di proprietà. Si ha una visione dell’amore come un bisogno ossessivo dell’altro e non come, invece, complementarietà. Nello spettacoloFiglio,non sei più Giglio, scritto e diretto da Stefania Porrino, in cui condivide il palco con Mariella Nava, è molto interessante la prospettiva scelta. La protagonista non è una donna vittima di violenza, ma una madre di un uomo che ha compiuto un atto di violenza. È una prospettiva meno rappresentata Si tratta di un percorso che ho iniziato a fare tantissimi anni fa. Personalmente sono cristiano cattolica credente e praticante, mi ricordo che, un venerdì santo, durante la lettura della passione di Cristo, nell’enorme tragedia e dolore che Gesù provava fisicamente e spiritualmente, improvvisamente mi è apparsa proprio la figura di Maria: ai piedi di una croce assistere alla morte del figlio. Dentro di me dicevo: nessuno parla mai del dolore di questa madre perché comunque Maria ha partorito questo figlio, l’ha tenuto per 9 mesi nel suo grembo, l’ha visto crescere piano piano, gli ha dato la vita. Proprio da queste riflessioni ho notato come la società guarda sempre da un punto di vista ma perde sempre la vista in una prospettiva più ampia e cioè che esiste la vittima, ma esiste anche un’altra vittima. L’obiettivo era portare in scena un testo teatrale che potesse dare umilmente una visione, sollecitando delle domande e anche dei dubbi, ponendosi di fronte a se stesse nell’interrogarsi: forse anche io ho sbagliato in tutto questo? Il tutto senza accusare chiaramente nessuno. Confrontandomi con Stefania Porrino le ho detto di voler mettere in scena il dolore di una madre che si ritrova, dopo aver gioito per questa notizia della gravidanza, aver partorito, aver portato avanti tutto percorso materno-filiale in modo meraviglioso, a chiedersi: chi era questo bambino prima? Chi è questa figura maschile oggi colpevole è reo confesso? Quali sono stati magari degli atteggiamenti in cui lei ricorda che lui ha agito in un certo modo e, però, non sono stati presi come momenti da approfondire meglio. Presumo che anche nel gesto folle e non premeditato ci siano state delle avvisaglie; se non fosse così, vorrebbe dire che noi veramente non possiamo più fidarci dell’essere umano, che sia maschile o femminile. Noi siamo le parole che usiamo, noi siamo i gesti che facciamo, siamo le azioni e le reazioni che abbiamo in un percorso. Questa donna che è vittima lei stessa di questa tragedia si pone delle domande, ripercorre la sua esistenza, quella di suo figlio, tra l’altro non volendolo incontrare personalmente perché non ce la fa a guardarlo negli occhi, a dare il proprio perdono perché le sembra impossibile che quel bambino, nato da lei e al quale ha dato tutta se stessa, possa aver agito in quel modo. Noi non siamo creature solitarie, viviamo in condivisione, essere attenti all’altro è un tema importantissimo. I nostri occhi, il nostro volto, come parliamo, come sorridiamo o non sorridiamo, come teniamo la bocca, l’espressività del nostro corpo ritengo sia fotografia del nostro bagaglio interiore nel bene e nel male. L’idea è, quindi, nata da lei che ha coinvolto Porrino e Mariella Nava? Avevo necessità di avere compagne di viaggio capaci di interpretare. Quando ho parlato con Mariella per proporglielo, ho subito chiarito di non voler raccontare una donna che ha subito la violenza perché, a mio parere, già ce ne sono tanti di spettacoli del genere, ma puntare gli occhi su questo ruolo di madre, che, a sua volta, è donna. Con Stefania siamo partite dalla laude di Jacopone da Todi: O figlio, figlio, figlio! figlio, amoroso giglio, figlio, chi dà consiglio al cor mio angustiato? Che noi abbiamo ‘trasformato’ in figlio non sei più giglio… si è macchiato di sangue per cui non ha più la purezza che avrebbe dovuto avere. In questa lettera immaginaria che la madre scrive a questo figlio, c’è qualche passaggio che ci terrebbe a sottolineare? In questa lettera lei si pone anche a nudo nei confronti del figlio, cercando di capire quali possano essere stati i loro sbagli. Il non volerlo affrontare personalmente ripercorre l’azione che lui ha compiuto, e continua a chiedere: mentre la colpivi, mentre lei gridava, la guardavi negli occhi, e questo è un po’ un tormentone all’interno dello spettacolo. La madre ricorda un passaggio in cui non riuscivano a parlarsi: è come se fosse un dialogo a distanza attraverso questa lettera e attraverso tutti tutti i ricordi che lei vive con questo bambino, quando era bambina, la sua gelosia per cercare di capirne il senso. La lettera è uno spunto per creare questa relazione con Mariella, la quale interviene attraverso delle parole, ma più spesso raccontando attraverso la sua musica i concetti appena detti. Ha scritto appositamente per il melologo una canzone e poi ci sono altri suoi brani, comeEpoca,Innome di ogni donna. All’inizio ha posto l’accento sulla comunicazione. A volte si assiste alla de-responsabilizzazione, servizi al tg in cui vengono intervistati magari i vicini e questi affermano: “non avrei mai pensato” Non c’è soltanto un colpevole, siamo tutti colpevoli perché la disattenzione verso l’altro è diventato ormai un modo esistenziale. Viviamo come se non ci fossero, esistono solo nel momento stesso in cui o ne abbiamo bisogno o viene fuori qualcosa. L’Italia nasce come Paese contadino, si stava insieme, si cucinava insieme; adesso che siamo tutti individui solitari anche all’interno delle famiglie è venuta meno la relazione. Siamo in una società svuotata di umanità, di condivisione, di inclusione dell’altro nella propria vita perché è come se ognuno entra in casa, chiude la porta e poi basta. Si ha la paura di esporsi, tutti hanno paura di sporcarsi le mani come dice Papa Francesco. Ci accontentiamo di dare la monetina così la coscienza è a posto, però chi pone davvero la domanda: come stai? Se ci si permette di rispondere sinceramente perché magari si ha la necessità di parlare, ci si sente rispondere anche: non lamentarti. Non si sa più ascoltare. Forse il teatro e, nello specifico, il suo impegno conBottega Poggi,potrebbero essere le occasioni per questo incontro di occhi e di educazione all’ascolto Oltre a essere scritturata come attrice, ho costituito questa società perché desideravo fare qualcosa di personale mossa anche dall’idea che, se non mi permettevano gli altri di farlo, volevo provare a dar vita io a ciò che mi sta a cuore. Per me è importantissimo comunicare che c’è un altro punto di vista e che c’è modo di essere migliore di quello che siamo. Abbiamo il dovere di crescere.Bottega Pogginon vuole cambiare il mondo, ma vuole provare a farlo. Lo spettacoloFiglio, non sei più Giglioè adatto a diverse fasce d’età, può essere un’occasione per creare anche dialogo tra le generazioni e ci auguriamo che avvenga. 16 novembre, Teatro Tito Schipa, Gallipoli 22 novembre, Teatro Terram Mare, Nardò 24 novembre, Teatro Comunale, Città Sant’Angelo 25 novembre, Teatro Astoria, Lerici 27 novembre, Teatro Odeon, Paola 29 novembre, Teatro Comunale Franco Tagliavini, Novellara 1 dicembre, Auditorium Paccagnini, Castano Primo 2 dicembre, Teatro Perracchio, Ragusa 5 dicembre, Teatro Lo Spazio, Roma 12 dicembre, Teatro Verdi, Pisa C’è il desiderio che continui a girare il più possibile, anche indipendentemente dalla ricorrenza che cade a novembre della Giornata contro la violenza di genere.
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