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“Espulse”: è il momento del #MeToo del giornalismo

 

Purtroppo lo sappiamo: non esiste ambito lavorativo che sia immune dallemolestie sessuali. Periodicamente focalizziamo l’attenzione su un settore o un altro (qualche settimana fa è esplosa la questione dellemolestie sessuali nel mondo della pubblicità italiana, prima ancora in quello delcinema, ma anche dellavelae di tantissimi altri) ma è evidente che si tratti di unproblema sistemico. A raccontare le storie e il coraggio delle donne che hanno alzato la testa, e la voce, per dire “anche a me” sono statigiornaliste e giornalisteche hanno portato in superficie, amplificato, approfondito, spiegato quelle storie di violenza. Eppure, sebbene secondol’indaginedel 2019 della Federazione Nazionale Stampa Italiana, l’85% delle giornaliste abbia dichiarato di aver subito molestie sessualialmeno una volta nel corso della sua vita professionale, nessunǝ aveva preso la parola per dire cosa accadesse nel loro ambiente di lavoro, in quelle redazioni che stanno dietro a quotidiani e servizi televisivi che per anni hanno raccontato come nel mondo del lavoro abusi e discriminazioni fossero endemici. Finora. Il caso Giambruno (il conduttore diDiario del Giorno,ex compagno della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ripreso dalle telecamere durante diversi fuorionda in cui si rivolgeva in modo inappropriato e sessualmente esplicito alla collega Viviana Guglielmi) e soprattutto il dibattito che ne è seguito, ha spostato i riflettori su quanto lemolestie sessuali(sempre giustificate dietro la “goliardia” e il “ma si è sempre fatto così”)siano diffuse e sistematiche anche nel mondo delgiornalismo. Ora, un collettivo digiornaliste, scrittrici, fotografe, videomaker e attivisteha deciso di indagare più a fondo il problema dando vita a“Espulse. La stampa è dei maschi”. Rivolgendosi alle giornaliste assunte e alle freelance nei diversi tipi di media (tv, radio, stampa, online) e negli uffici stampa,Stefania Prandi, Irene Doda, Alessia Bisini, Roberta Cavaglià e Francesca Candioli(lefondatrici)puntano a raccogliere testimonianze dirette permappare l’impatto che molestie, ricatti, abusi e discriminazioni sessualihanno sulmondo dell’informazione italiana. Che, sebbene siano ancora un enorme tabù, spiega ilmanifestodel collettivo, “non rappresentano soltanto un danno contro le singole giornaliste, ma sono uno strumento utilizzato dagli uomini permantenere lo status quonelle redazioni e tenere le donne – soprattutto quelle che non si adeguano al sistema dominante – lontane dai posti di comando. Questo sistema di gestione del lavoro si ripercuote anche su lettrici e lettori, sulla qualità dell’informazione e sulla libertà di stampa”. L’appello è rivolto al femminile perchéle donne sono tra le persone più colpiteda molestie e abusi ma, si legge ancora nel manifesto “siamo consapevoli che le violenze possono riguardare anche uomini, persone con disabilità, persone con origini e provenienze diverse, e persone Lgbtq+”. “Un collega del mio capo è viscidissimo con me. Mi dà il tormento con mille messaggi che non c’entrano niente con il mio lavoro. Un giorno si avvicina e mi dice: ‘Non so cosa ti farei se potessi!’”. “Sono una stagista e un caposevizio è un viscido con me: mi guarda sempre il seno e l’inguine. Mi dice che sono cose molto più interessanti da fare nella vita, come uscire con lui. Una stagista come me decide di starci: alla fine il caposervizio affida a lei i pezzi migliori e a me gli scarti”. “Sono una stagista in una radio e il direttore si complimenta con me per il mio lavoro e poco dopo mi chiede di uscire con lui. Io rifiuto e lui sbotta dicendo che tantissime ragazze prima di me sono andate a letto con lui, perché semplicemente è lui il capo”. Queste sono solo alcune delletestimonianzeraccolte e condivise sul sito, che presto avrà anche una pagina Instagram con cui condividere le proprie esperienze. Che sia arrivato, davvero, il#metoo del giornalismo italiano?

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