Il 47,1% dei lavoratori italiani è “poco o per nulla soddisfatto della propria retribuzione”. È quanto emerge dai risultati dell’Inchiesta nazionale sulle condizioni e le aspettative delle lavoratrici e lavoratori, condotta da Cgil eFondazione Di Vittorio, che ha coinvolto oltre 30.000 lavoratori tra maggio e settembre 2022. Nel 2021, l’8,8% dei partecipanti all’indaginedichiara di aver incassato meno di 10.000 euro, mentre il 13,9% ha guadagnato tra 10.000 e 15.000 euro. Il 45%, invece, ha ricevuto unreddito da lavoro netto compreso tra 15.000 e 25.000 euro. Di questi, il 20,7% ha guadagnato tra 15.000 e 20.000 euro, mentre il 24,1% ha avuto un reddito compreso tra 20.000 e 25.000 euro. Ed è solo il 15,1% dei rispondenti all’inchiesta a superare i 30.000 euro di reddito netto annuo. Vale la pena sottolineare che, sebbeneoltre la metà dei rispondenti sia rappresentato da donne, sono proprio gli stipendi dichiarati dalle stesse, ancora una volta, a dimostrareforti disparità di genere, in parte a causa di una maggiore frequenza di contratti part-time, ma c’è da dire anche che le disuguaglianze persistono anche in presenza di contratti full-time. Infatti, se è solo (si fa per dire) il 30,7% degli uomini a guadagnare meno di 20.000 euro netti all’anno, si arriva addirittura al 53,8% nel caso delle lavoratrici donne. Due partecipanti all’indagine su tre, inoltre, dichiarano che, dopo lo scoppio della pandemia, la retribuzione e le ore lavorative non sono cambiate, mentre il 23,3% afferma un aumento delle ore di lavoro, mantenendo inalterato il proprio stipendio (nel 18% dei casi) o, addirittura, vedendolo ridotto (5%). E se la pandemia sembrava aver dimostrato ampiamente le potenzialità dellosmart working, solo il 21% dei rispondenti dichiara di lavorare da casa, in particolare uno o due giorni a settimana per 6 casi su 10. Ma èil 35,9% degli uomini e il 38,5% delle donne che vorrebbe usufruire del lavoro agile: modalità che, secondo i risultati dell’indagine,tenderebbe ad aumentare il livello di soddisfazione lavorativa. Tra gli intervistati non mancano preoccupazioni per il futuro lavorativo, considerando cheil 68,6% prevede una riduzione del personale, mentre il 17,8% teme delocalizzazioni e il 17,4% la chiusura di attività. E se il 33,8% teme che la tecnologia possa comportare un aumento del ritmo di lavoro, tuttavia,il 59,1% è convinto che le innovazioni tecnologiche riusciranno a migliorare le condizioni di lavoro. Cattive notizie sul fronte del benessere sul posto di lavoro,con il 65,5% degli intervistati che dichiara di sentirsi stressato per via della propria occupazione. L’analisi rivela anche alti livelli disotto-inquadramento, con un quarto dei partecipanti costretto aassumere responsabilità superiori a quelle normalmente previste dalle proprie mansioni. Non mancano, purtroppo,dati preoccupanti sull’incolumità fisica dei lavoratori intervistati, poiché alcuni di essi hanno dichiarato di dover spesso sollevare carichi pesanti (nel 16,7% dei casi) o di lavorare in condizioni pericolose (7,9%). Per il 68% del campione intervistato è l’aumento dei salari la priorità di intervento numero uno dell’azione sindacale nel confronto con le Istituzioni, seguito dall’aumento dell’occupazione (44,7%) e dal contrasto alla precarietà (42,7%). Esigenze che, se considerate adeguatamente, contribuirebbero ad aumentare il benessere economico del nostro Paese.
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