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Cambiamento climatico: quanto tempo ci resta per affrontarlo?

 

Nel 2021 le Nazioni Unite avevano calcolato che ilRemaining Carbon Budget(Rcb), ovverola quantità di carbonio che possiamo ancora emettere prima di superare il limite di aumento di temperatura di 1,5 °Cprevisto dagli Accordi di Parigi,ammontava a 500 miliardi di tonnellate fissando il “punto di non ritorno” nel 2032. Secondo un nuovo studio apparso suNature, in realtàl’Rcball’inizio del 2023 era di appena 250 miliardi di tonnellate il che, considerando che globalmente si emettono circa 40 miliardi di tonnellate all’anno (un dato, tra l’altro, in aumento), farebbe avvicinare pericolosamente la deadline fissandola al 2029. Il team di ricerca guidato da Robin D. Lamboll, dell’Imperial College di Londra, ha rinnovato i modelli di calcolo dell’Rcb includendo altri fattori di complessità che potrebberoincidere sull’aumento della temperatura terrestre, e in particolare ha scorporato il ruolo effettivo che gioca la CO2 da quello degli altri gas serra le cui emissioni residuali potranno continuare a far aumentare la temperatura anche una volta che le emissioni nette di CO2 avranno raggiunto lo zero. Anche fattori socio-economici e geofisici possono giocare un ruolo sul cambiamento delle temperature, senza considerare l’incertezza che deriva dalle risposte di altri componenti del sistema climatico che potrebbero contribuire ad alzare la temperatura (come nel caso delloscioglimento dei ghiacciaiel’aumento della temperatura marina) o a farla diminuire (come una maggiore presenza di vegetazione in alcune zone che potrebbe sequestrare più CO2 del previsto). Un altro fattore di complessità è poi dovuto alleconseguenze inaspettate di interventi umani. Ironicamente, ma non troppo, uno dei motivi per cui l’Rcb calcolato dallo studio è più basso di quello calcolato dalle Nazioni Unite è che il modello tiene conto dei recenti sforzi che sono stati fatti per rimuovere particelle di inquinanti atmosferici, le quali, è emerso, contribuivano leggermente al raffreddamento dell’aria alleviando gli effetti del riscaldamento dei gas serra. È facile dunque capire come in un contesto caratterizzato da una tale quantità di variabili che possono creare incertezza, anche un minimo cambiamento delle condizioni di partenza su cui si basano i modelli di calcolo possono portare a differenze radicali nei risultati. Quello però su cui abbiamo una certa sicurezza è chese non invertiamo al più presto la rotta il limite del +1,5 °C verrà sicuramente superatocon gravi conseguenze che includeranno lo scioglimento ulteriore dei ghiacciai, l’innalzamento dei livelli del mare, l’aumento dell’acidità delle acque e la conseguente distruzione delle barriere coralline,ondate di caloreesiccità. L’obiettivo dello studio comunque non è quello di scoraggiare ma dispronare ad azioni sempre più efficaci. «Con i nostri risultati non vogliamo dire che la battaglia contro il cambiamento climatico sarà persa tra sei anni – hadichiaratoLamboll – ma se per allora non saremo già su una traiettoria discendente consolidata restare sotto l’1,5 °C sarà davvero difficile.Non impossibile – ha aggiunto – ma politicamente sfidante, e dunque improbabile». Anche uno dei coautori, Cristopher Smith, dell’università di Leeds ha rimarcato:«Non vogliamo che passi l’idea che sono rimasti solo sei anni per salvare il Pianeta. Anche se saremo in grado di limitare l’aumento della temperatura a 1,6 °C, 1,65 °C o 1,7 °C sarà comunque molto meglio dei 2 ºC. Dobbiamo impegnarci anche per un decimo di grado». Un aumento di 2°rappresenta il limite ultimo dopo il quale la Terra diventerebbe invivibile per molte forme di vita e che deve a tutti i costi essere evitato, pur restando una possibilità. Secondo lo studio, infatti, l’Rcb che ci resta per avere il 50% di possibilità di restare sotto i 2 ºC è 1.220 miliardi di tonnellate di CO2, il che ci dà circa 30 anni di tempo. Se vogliamo portare la probabilità a 66% o al 90% gli anni diventano rispettivamente 23 e 12. Se questi sono tutti termini ben maggiori dei 6 anni che ci restano per poter restare sotto l’1,5% è evidente che il margine è comunque ridotto. I risultati di questo e di moltissimi altri studi condotti nell’ultimo periodo mettono in luce un’ovvietà che però vale la pena rimarcare: non abbiamo fatto, e non stiamo ancora facendo abbastanza per poter rispettare gli accordi di Parigi. Il tempo è un fattore fondamentale. Ce ne è rimasto ancora un po’, ma tanto è già stato sprecato, e tutta la partita si giocherà su quello che riusciremo a fare con quello che ci resta.

Redazione

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