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I video violenti ridefiniscono la guerra moderna

 

Combattenti della marina con fucili d’assalto, granate per sparare contro i civili, valanghe di corpi senza vita e città in fumo; questo è solo un assaggio di tutto ciò che circola sul web.La guerra moderna si presenta sotto i nostri occhi come fosse un programma televisivodel quale non possiamo perderci i dettagli, diventandone spettatori in prima fila. Se un tempo tutti i filmati delle guerre venivano condivisi principalmente negli angoli oscuri di internet, e quindilontani dagli spettatori occasionali, adesso il trend si è ribaltato: le guerre in Israele eUcrainastanno fomentando la circolazione di immagini e video sconvolgenti, violenti e atroci. I leader militari e i soldati nativi digitali sonodesiderosi di documentare la realtà del loro conflitto, anche rilasciando direttamente video tramite servizi di messaggistica di gruppo come Telegram, dove l’ala militare di Hamas ha pubblicato montaggi di addestramento che mostrano i soldati prima del combattimento, nonché video non censurati di conflitti sanguinosi o attacchi con granate di droni e soldati israeliani uccisi. Ma come siamo arrivati a tutto questo? Il numero di video a disposizione di tutti è cresciuto perchéi combattenti utilizzano telefoni cellulari e videocamere per registrare o trasmettere in streamingfilmati da una prospettiva fino a oggi inedita, sia per scopi di strategia militare sia di propaganda, ben consapevoli che questeimmaginisvolgano un ruolo decisivo nelplasmare l’opinione pubblicain merito agli eventi. Allo stesso tempo, tali video sono statiutilizzati anche per seminare terroree provocare «una reazione emotiva eccessiva che potrebbe far infuriare gli spettatori, espandere un conflitto o fare il gioco degli aggressori – come afferma Amanda E. Rogers, una ricercatrice che studia la propaganda estremista – La gente non capisce che puoi essere reclutato in un conflitto della propaganda involontariamente per aiutare la parte a cui pensi di opporti; ora questi video si sono riversati nell’ambiente dei social media, dove il minimo comune denominatore e la frase sonora diventano consumabili come sport di squadra partigiano». Per molte persone lontane dal campo di battaglia, il rischio che tali video appaiano come se niente fosse sui siti web o nei feed dei social network è diventatouna paura persistente, tanto che alcune scuole e gruppi educativi istruiscono genitori a bloccare o monitorare l’uso dei social media da parte dei propri figli. Soprattutto i più giovani, infatti, sono soggetti a quello che gli psichiatri chiamano “trauma indiretto”, che puòdanneggiare la salute mentale delle persone. Le principali piattaforme di social media solitamente bloccano o limitano ivideo che mostrano morte o violenza atrocema seppur, a esempio, le regole diXconsentono la riproduzione di immagini violente solo se nascoste dietro un disclaimer di avvertimento, alcuni video dell’attualeguerra tra Israele e Hamasrimangono visibili senza restrizioni. In alcuni casi, le guerre hanno anche innescatouno spostamento delle regole di lunga data sulla libertà di parola: l’anno scorso Facebook ha dichiarato che avrebbe consentito temporaneamente messaggi violenti relativi alla guerra in Ucraina perché rappresentavano“espressioni politiche protette”. Il Ministero degli Esteri israeliano ha adottato una tattica simile, pubblicando centinaia di inquietanti annunci su YouTube.«Il sistema mediatico online sempre più frammentato si traduce nel fatto che ci sono molti più sbocchi per questo tipo di contenuti e una più ampia varietà di schemi di moderazione dei contenuti tra cui scegliere. È come se all’improvviso ci fossero molte più sale cinematografiche in città, e alcune di loro sono molto più amichevoli nei confronti degli snuff film», ha affermato Colin Henry, un ricercatore della George Washington University he ha studiato la violenza politica e Internet.

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