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Onu: la crisi climatica non è “gender neutral”

 

Solo un terzo dei Paesi membri dell’Onu include la salute sessuale e riproduttiva nei propri piani nazionaliper affrontare la crisi climatica. Dei 119 Paesi che hanno pubblicato le proprie strategie per contrastare il riscaldamento globale,solo38 includono l’accesso alla contraccezione e ai servizi di salute materna e neonatalee solo15 fanno riferimento alla violenza contro le donne. Secondo i dati emersi dalrapportodelFondo delle Nazioni Unite per la popolazione(Unfpa) e dallaQueen MaryUniversity London, l’Onu non fa abbastanza per tutelare coloro che sono più esposte all’impatto climatico in termini di portata e intensità, vale a direin particolare donne e ragazze. Si tratta della prima analisi a livello globale che valuta come i piani nazionali per il clima dal 2020 mettono in connessione salute, genere, dinamiche demografiche, giovani, diritti umani, gruppi vulnerabili e partecipazione sociale. I risultati non sono buoni: il rapporto mostra chenessun piano nazionale fa riferimento a come garantire l’aborto e le cure post-aborto in caso di disastro climatico; solo 3 menzionano il tema delle malattie sessualmente trasmissibili; 4 citano l’identità di genere e l’orientamento sessuale come fattore da considerare nella tutea dei diritti umani. Gli studi presentati dall’Unfpa riportano che le donne, le ragazze e i gruppi emarginati che dipendono in larga misura dalle risorse naturali per il proprio sostentamentosono tra i più colpiti dai fenomeni meteorologici estremi. Alcune evidenze scientifiche hanno rilevato che le limitazioni nell’accesso alla casa, al cibo, ai servizi igienici e all’istruzione provocate dal cambiamento climaticoinfluiscono negativamente sui diritti sessuali e riproduttivi. I rischi di violenza sessuale, di mutilazioni genitali femminili e di matrimonio infantile, infatti, aumentano in periodi di stress e scarsità di risorse, nonché in seguito a eventi climatici estremi e disastri naturali. Il rapporto afferma inoltre che la crisi climatica haesacerbato le disuguaglianze esistenti: nell’Africa orientale e meridionale, per esempio, i cicloni tropicali hanno danneggiato le strutture sanitarie,interrompendo l’accesso ai servizi di salute maternae contribuendo alladiffusione di malattie trasmesse dall’acqua come il colera. Questo accade perché l’impatto diseguale del cambiamento climatico nei confronti del genere si aggrava in presenza di altri fattori legate al contesto sociale. L’Ipcc, ilGruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, ha detto che “la vulnerabilità degli ecosistemi e delle persone ai cambiamenti climatici differisce sostanzialmente tra le regioni e all’interno di esse, guidata da modelli di sviluppo socioeconomico intersecati tra loro”.Dove le comunità sono già di per sé vulnerabili, ci sono cioè persone che lo diventano ancora di più quando il riscaldamento globale presenta il suo conto. Ma l’Università Queen Marydi Londra ha osservato che, nei piani nazionali degli Stati Onu, il finanziamento di settori critici che riguardano la salute sessuale e riproduttiva, come quello sanitario, non contemplano sistemi di protezione e programmi di riduzione del rischio che permettano di affrontare le disparità strutturali in cui già normalmente le donne si trovano a vivere.

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