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Australia, referendum aborigeni in Parlamento: il 56% voterebbe “No”

 

All’inizio della campagna referendaria, gli elettori a favore del no alreferendum per inserire nella Costituzione australiana laVoice to Parliamentdeipopoli nativierano abbastanza riconoscibili: uomini, di età superiore ai 50 anni, ampiamente conservatori, più propensi a vivere nell’Australia regionale e senza istruzione superiore. Oggi, a meno di 2 settimane dal voto, l’ultimoNewspoll(il sondaggio ritenuto più affidabile) ha registrato cheil “Sì” è sceso al minimo storico del 36%. Il 3 settembre era al 38%. Da giugno il“No” è aumentato dal 47% al 56%,per quasi tutti i dati demografici compresi gli elettori più giovani; le persone laureate sono state le uniche che hanno registrato un aumento del sostegno. Anche secondo il sondaggio dell’Australian Financial Review(Afr)/Freshwater,il sostegno al referendum è sceso al 33%(meno 15 punti rispetto a maggio) e il “No” avrebbe raggiunto il 50%. Ci sono buone probabilità, quindi, che il14 ottobrela votazione, che prevede un unico quesito (un “Sì” o un “No”) per “modificare la Costituzione ericonoscere le popolazioni native d’Australiaistituendo unaVoce Aborigena e delle Isole dello Stretto di Torres,venga bocciato. Per il “No” non ci sono solo i conservatori e chi pensa cheThe Voicesarebbe un elemento “divisivo”, ma anche chi ritiene la soluzione un atto di “tokenism”, simbolico, e “toothless”, senza forza, spiegaReuters;poi, c’è chi crede che i cittadini delle Prime Nazioni non desiderino ciò. «Sono parole su un pezzo di carta. Non è un’azione», ha spiegato un elettore per il “No” alSaturday Paper, che ha intervistato decine di persone nel sud-est del Queensland e ha parlato con ricercatori e sondaggisti “per tracciare un ritratto delle persone che vedono poco o nessun valore nell’attuale proposta”. E che, stando ai sondaggi, sono la maggioranza. Un identikit che fino a qualche mese fa era definito e limitato allefrange più conservatricidi una società in cuiaborigenie isolani dello Stato di Torres costituiscono il3,2%.Secondo focus group condotti lo scorso anno, quasiun terzo di tutti i partecipanti credeva che le persone delle Prime Nazioni fossero state trattate equamente.“Non solo adesso, ma dopo l’invasione”, spiega ilSaturday Paper. A loro si aggiungeva chi non negava l’impatto della colonizzazione, ma ritengono che oggi “il danno sia stato controbilanciato”. Un’opinione che, ricorda Rick Morton (reporter del giornale australiano) è smentita dai fatti: “gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres muoiono molto prima di tutti gli australiani, vengonoincarceratiin modo sproporzionato e sperimentano unadisuguaglianzamozzafiato unica per loro e per le circostanze in cui sono stati spinti”. I partecipanti a un focus group non ancora pubblicato hanno sostenuto cheThe Voice“eleverebbe una razza al di sopra delle altre”.Non sorprende che glielettori più preoccupati siano i bianchi.Il timore che il provvedimento privilegi i cittadiniindigeniaustraliani,infatti, “è meno pronunciato tra i migranti provenienti dalla Cina o dal Vietnam, o tra le persone provenienti dall’Afghanistan o dalle isole del Pacifico”. «È particolarmente sgradito agli uomini bianchi, che già sentono di non avere voce in capitolo – afferma una persona (il cui nome non viene citato dalSaturday paper) che ha familiarità con la ricerca – C’è questo lavoro separato che mostra che esiste la stessa percentuale, un gruppo, in gran parte uomini, in gran parte bianchi, vecchi e giovani, che dice: “Oh, non puoi più dire quello che pensi”. E quindi percepiscono“Dov’è la mia voce?”». Ma cosa è successo e come mai si è registrato un boom per il “No”? “Il trucco della campagna ‘No’ è stato quello di confondere ulteriormente le acque”, spiega ilSaturday Paper, che riporta le voci di chi non è un uomo-bianco-conservatore, eppure ha comunque deciso di rifiutare la modifica costituzionale. Sebbene la stragrande maggioranza deiFirst PeoplessostengaThe Voice, 2 degli attivisti più importanti schierati contro sono indigeni australiani: Nyunggai Warren Mundine e Jacinta Nampijinpa Price. “Un ‘No’ progressista è stato avanzato dall’ex membro dei Verdi e ora senatrice indipendente Lidia Thorpe che, insieme ad altri membri delBlak Sovereign Movement, sostiene che nessuna struttura coloniale può risolvere il problema della colonizzazione”, scrive il giornale australiano. «Una volta che è nella Costituzione, è lì per sempre. Sono cresciuto nel Territorio [del Nord], in una casa con persone di Yuendumu, Warrabri [ora chiamato Ali Curung] e Amoonguna. Posso dirti che non lo vogliono. Vogliono azioni che migliorino la loro vita, e non solo ciò che l’uomo bianco pensa sia un bene per loro» ha spiegato un elettore per il no. Un’altra persona la pensa nello stesso modo: «Non c’è niente che odio di più dei ragazzi bianchi che fanno del bene».

Redazione

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