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Aborto farmacologico: i numerosi ritardi dell’Italia

 

L’accesso all’aborto sicuroè una componente fondamentale della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. Eppure, esistono ancora forti disuguaglianze nell’accesso alle cure abortive, soprattutto in Italia. In occasione dellaGiornata internazionale per l’aborto sicuro, che si celebra in tutto il mondo oggi, 28 settembre, la rete internazionale Medici del Mondo ha pubblicato il rapportoAborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali, per mostrare luci e ombre della situazione nel nostro Paese. Dati, interviste e testimonianze di personale sanitario, attiviste e pazienti sottolineanolenumerose difficoltànel contattare i consultori, reperire informazioni sull’aborto farmacologico e sull’iter per accedervi, nell’interfacciarsi conl’obiezione di coscienzae conla controinformazione scientifica. I tempi per ottenere unappuntamento, in Italia, sono ancoratroppo lunghiper convivere con le 9 (in alcune regioni ancora 7) settimane permesse dalla legge per accedere all’aborto farmacologico. Le donne affrontano ancora oggi un grandestigmasociale relativo all’interruzione di gravidanza. “L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità maternaa livello internazionale”, spiega il rapporto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di39.000 decessi l’anno, con 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Delle circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, infatti, il 60% si conclude con un aborto, di cuil’impressionante 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell’accesso limitato al servizio. In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza “è una prestazione ancora fortemente ostacolata”, nonostante sia sancita dallalegge 194 del 1978, che sulla carta consente a ogni donna di richiederla entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Tuttavia, l’articolo 9 prevede che “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando solleviobiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. Secondoi dati del Ministero della Salute, nel 2020 si è dichiarato obiettoreil 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico. Ma si tratta di dati non esaustivi non aggiornati (si riferiscono a ben 3 anni fa) e, come ha rilevato la ricercaMai datidell’Associazione Luca Coscioni, curata da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, si tratta di numeri che non mostrano le forti differenze tra le Regioni e le strutture italiane: risulta infatti che in Italiain 22 ospedali (e 4 consultori) la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, mentre in 72 è tra l’80 e il 100%. Inoltre, in 18 ospedali si arriva al 100% di ginecologi obiettori. Lapillola abortivain Italia è arrivata solo il 10 dicembre 2009; i dati mostrano che, negli anni, “sempre più persone l’hanno preferita al metodo chirurgico, passando dallo 0,7% nel 2010, al 20,8% nel 2018,fino al 31,9% nel 2020, con le percentuali più elevate registratein Liguria(54,8%), Basilicata(52,5%)e Piemonte(51,6%)”. Si tratta, però, di numeri molto distanti da quelli registrati negli altri Paesi europei:in FrancialaRU486è stata introdotta nel 1988,in Inghilterranel 1990. Quigli aborti farmacologici sono oltre il 70% del totalee possono essere effettuati fino alla 9° settimana di gravidanza e in regime di day hospital, “possibilità che in Italia è stata introdotta solo nel 2020 con l’aggiornamento, da parte del Ministero della Salute, delleLinee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza”. La campagnaThe Impossible Pill, in un viaggio dalla Sicilia fino alla cima del Monte Bianco, denuncia le difficoltà di accesso alle cure abortive attraverso l’ironia della testimonialLaura Formenti, comica e performer che vive in prima persona il percorso a ostacoli che ogni donna deve affrontare se decide di abortire. Nel suo itinerario, Formenti incontra le associazioni e le attiviste che sostengono e difendono il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza: daMaghweb, a Palermo, passando per il movimento femministaNon Una di Meno, ad Ancona; quindi a Bologna con il collettivoMujeres Libres, e a Torino con Tullia Todros, l’ex Primaria del reparto di ginecologia e ostetriciadell’ospedale Sant’Anna. Non manca il prezioso contributo della psicologa e attivista Federica di Martino, fondatrice del gruppoIVG, ho abortito e sto benissimo!. Le testimonianze raccolte nel rapporto parlano diviaggi interminabili(ma inevitabili, considerando i dati ufficiali e ufficiosi sugli obiettori di coscienza sparsi in tutta Italia) per raggiungere un ospedale che effettui aborti farmacologici,personale sgarbatoche fornisceinformazioni superficiali e talvolta scorrettesulle procedure da seguire,grave carenza di informazioniprecise sull’accesso alla pratica, evidentidisuguaglianze regionali. Inoltre, la maggior parte dei protocolli emanati nelle Regioni italiane esige il controllo della procedura da parte delle strutture sanitarie, ma le indicazioni dell’Oms raccomandanola deospedalizzazione e l’autogestione dell’aborto farmacologico. Medici del Mondoconclude il rapporto con una raccomandazione al Ministero della Salute: “monitorare e assicurare da parte di tutte le Regioni italiane la ricezione delle linee di indirizzo emanate nel 2020 in tema di aborto farmacologico, nella loro interezza:la regolamentazione delle procedure abortive non può seguire logiche di tipo politico, ma solo criteri medico-scientifici”.

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