Lacittà, con gli skyline mozzafiato, le strade affollate e i rumori incessanti, è stata per secoli il luogo in cui l’umanità ha trovatorifugio, opportunità e connessione. Tuttavia, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un gradualedeclinodel senso comune che caratterizza la nostravita urbana.Le cittàsono diventate labirinticaotici in cui il senso di appartenenza e di comunità sembra essere svanito nelvortice della modernità. L’essere umano plasma il centro urbano, ma anchela città stessa plasma l’essere umanoe, in un’era in cuile metropoli non rispecchiano più le nostre esigenze,è nostra responsabilitàridare un senso allo spazio che abitiamo. Bertram Niessen,ricercatore, progettista, docente e direttore scientifico dicheFare(agenzia per la “trasformazione culturale” che, “insieme a comunità, organizzazioni e istituzioni” crea “nuove forme di impatto culturale”, sviluppando progetti), nel suo libroAbitare il vortice. Come le città hanno perduto il senso e come fare per ritrovarlo(Utet, 287 pagine, 19 €), propone alcune strategie persuperare la crisi urbana. I fenomeni della crisi urbana Quali sono i fenomeni che stanno rendendo lecittàvorticispaventosi, più che seducenti? Il primo è l’espansione incontrollata, cioè la crescita sproporzionata e disorganizzata delle aree urbane cheriduce gli spazi verdi,aumentando il traffico e quindi l’inquinamento. C’è poi lagentrificazioneche riguarda le aree più periferiche e caratteristiche, che vengono trasformate in quartieri di tendenza per ricchi. Si tratta di un fenomeno paradossale perché con l’aumentare del prezzo degli immobili si allontanano le classi popolari e sicompromette l’identità socio-culturale del distretto. Un caso eclatante digentrificazioneè il quartiere Nolo di Milano che, da zona popolare e multiculturale, è diventatacool. Le vecchie abitazioni sono state trasformate in appartamenti moderni, destinati a una nuova classe di abitanti con redditi più elevati e molte botteghe sono state sostituite da posti alla moda. La richiesta di case haaumentato il costo della vitarendendo difficile per gli abitanti storici del quartiere continuare a vivere lì. «Questi aspetti – spiega Bertram Niessen – stanno aumentando vertiginosamente leingiustizie urbanedal punto di vista dellapovertà, della salute e dellavivibilità. Questo vuol dire che facciamo sempre più fatica a vedere le città come spazi collettivi di crescita e miglioramento. Dobbiamo smettere di nascondere le cause delle disuguaglianze, chiamarle in causa e imparare nuovi modi per affrontarle». Lo spazio urbano come prodotto di marketing Da quando il fulcro delle attività produttive si è spostato dal settore industriale al terziario, le città sono diventate più attraenti, un fenomeno che l’autore chiama“disneyficazione”. Alcune sono diventate veri e propri “brand da promuovere”:Roma la città eterna o Parigi dell’amore;la Milano da bere e poi “la città che sale” dopo Expo 2015. Le città sono peròstracolme, costantementeaffollateda residenti,pendolari e turisti.Un esempio tangibile di questa situazione è quello di Venezia che ha deciso di contrastare l’impatto umano sull’ambiente fragile della città con una tassa di ingresso per limitare il turismo di massa “mordi e fuggi”. Per gestire la mobilità dall’esterno all’interno (e viceversa) servono dunquenuove opzioni per ridurre il traffico e l’inquinamento, a esempio favorendo la mobilità dolce e, quindi, l’uso della bici e dei mezzi di trasporto pubblici. Come sottolinea Bertram Niessen “oggi chi si occupa di cultura urbana deve smettere di inseguire il marketing territorialee indagare il senso, attraverso il confronto e lo scontro”. È per questo che è essenziale dialogare e trovare nuove soluzioni per evitare che il vortice di crisi locali e globali ci travolga completamente. Il concetto di abitabilità dopo la pandemia Come spiega l’autore, «La pandemia ha compresso le funzioni urbane nel domestico,facendo detonare le contraddizioni»; molti hanno avuto difficoltà a immaginare il loro futuro in città, soprattutto chi si è trovato a pagareaffitti esorbitanti per vivere in un piccolo monolocaleclaustrofobico, mentre gli amici in provincia godevano di una vita migliore nelle loro case con giardino o vista mare. Insieme ad altri elementi come il costo della vita, lo stress e l’inquinamento, ilCovid ha innescato un cambiamento radicale, mettendo in discussione le concezioni tradizionali sulle città e sulle dinamiche sociali, soprattutto perché il lavoro da casa ha reso meno indispensabile vivere vicino all’ufficio. «La dimensione sociale della casa è un rimosso che bussa alle porte del dibattito pubblico da decenni – sottolinea l’autore – è diventata evidente la frattura tra chi è proprietario (magari di case grandi, o magari di più case) e chi non lo è. Oggi questa disuguaglianza reclama spazio politico, culturale, simbolico». Ma non è solo una questione di libertà e costi.La mancanza di connessione sociale e il senso di appartenenza sono diventati problemi seri. Abbiamo bisogno di comunità solide nelle città, perché la connessione sociale, la solidarietà e il senso di appartenenza sono fondamentali per il nostro benessere individuale e collettivo. Riconnettersi con la città Non è ancora tutto perduto, ma le metropoli devono adattarsi alle persone. Di conseguenza, ilritmo urbano dovrebbe essere dettato dai cittadinianziché dalle automobili o dal profitto. Inoltre, ogni spazio dovrebbe essere flessibile e adattabile per svolgere diverse funzioni; per esempio, le attività quotidiane di base dovrebbero poter essere svoltenel proprio quartiere,in modo da ridurre lo stress, soprattutto di fronte a imprevisti. Come ci ricorda Niessenanche il mondo è la nostracasa, quindi per contrastare il cambiamento climatico, dobbiamo costruire percorsi di collaborazione che mettano insieme«gli abitanti umani e quelli non umani (animali domestici e selvatici, piante, e oltre) implementando soluzioni verdi e solidali».
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