Malgrado siano stati fatti importanti progressi negli ultimi anni (a esempio, il welfare aziendale e lo smart working), si parla ancora oggi didiscriminazione e scarsa inclusione a livello lavorativoper le persone che presentano unadisabilitàe malattia cronica (visibile o invisibile). In Italia esistono da tempo norme incentrate sull’inserimento lavorativo delle persone con un’invalidità fisica o legata al proprio stato di salute,come laLegge 12 Marzo 1999, n.68“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Questa normativa è stata poi sottoposta a un’importante operazione di riforma secondo il D.lgs. n. 151/2015 che ha consolidato l’istituto delcollocamento mirato,un ponte tra le richieste dei datori di lavoro e le attitudini dei dipendenti più fragili. Inoltre, le società con questo servizio devono obbligatoriamente assumere tutti, senza alcuna distinzione tangibile e non. Tuttavia, permangononumerosi svantaggiche già erano evidentinel 2019quando, secondo il portaleDisabili.com,tra la fascia d’età 15 – 64 annirisultava occupato solamente il 32,2% di persone con disabilità,contro il 59,8% delle persone senza. Come viene riportato nel reportMental health and work: Impact, issues and good practicesdellaWho(Organizzazione Mondiale della Sanità), esiste una maggiore coscienza globale nei confronti della disabilità che non è più solo una condizione del singolo individuo ma viene inserita nell’ambiente che circonda la persona stessa, compresi i contesti lavorativi. Riuscire a svolgere quotidianamente un determinato impiego genera, a sua volta, benefici essenziali tra cui stabilità psicologica e finanziaria, ambizione personale, percezione di utilità e realizzazione di una propria identità. Al contrario, ladisoccupazioneriesce a generaredisturbi psicomotori, stress costante, solitudine, mancanza diautostima, emarginazione,incapacità di gestire delle relazioni interpersonali ed eventuale uso smodato di sostanze nocive. Tutto ciò riduce il rendimento personale, fondamentale in tutti i lavori. Secondo lostudiocondotto dalBoston Consulting Group (Bcg)e pubblicato a maggio del 2023,su quasi 28.000 dipendenti,circa il 25% degli individui rende nota la propria disabilità sul posto di lavoro,a fronte di quanto riportato dalle aziende che riportano dati inferiori, pari al 4% e 7%. L’analisi è stata condotta in 16 Paesi e ciò denota quanto il problema sia globale e richieda una maggiore attenzione da parte dei vari stakeholders considerando anche che, stando aidatiWho,il numero di persone con disabilità in tutto il mondo è salito a 1,3 miliardi. Lafotografia italiana,nel report della multinazionale statunitense di consulenza strategica, manifesta una situazione contrastante e insostenibile. I lavoratori intervistati, con una disabilità o una patologia cronica, ammontano al21%. Il46% afferma di non aver avuto la fermezza di rivelare la propria condizionepsicofisica al responsabile e ai colleghi per timore di ritrovarsi in situazioni di fortidisparità, svantaggio, pregiudizi e pettegolezzi.Invece, il 43% delle persone che ha avuto il coraggio e la forza di mostrarsi nella loro entità, sostiene di essere stato soggetto a continuediscriminazioni. Ledonne e i giovani,ancora una volta, rappresentano i gruppi piùsvantaggiati,secondo lascheda progettodell’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro(Andel)che fa leva, inoltre, sull’importanza di sviluppare un’innovazione socialeperpromuovere una forte inclusione lavorativa. Paura, inadeguatezza, inferiorità e debolezza sono le emozioni più diffuse. Eppure, il nostro ordinamento giuridico recita all’Articolo n. 4 della Costituzione italiana “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Lo scenario riportato mette pone alle società riflessioni cruciali: risulta essenziale sostenere una cultura inclusiva e creare habitat accessibili a tutti eliminando stigma e barriere che alimentano malessere e disagio sul posto di lavoro.
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