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Sudan: Amnesty denuncia crimini di guerra

 

A100 giorni dall’inizio del conflitto in Sudantra le Forze di supporto rapido (Fsr) e le Forze armate sudanesi (Fas),Amnesty Internationalha pubblicato un nuovo rapporto riguardo icrimini di guerracommessi a partire dal 15 aprile 2023. Si intitola “Death came to our home” – War crimes and civilian suffering in Sudane denuncia comemigliaia di persone siano rimaste uccisenel conflitto in corso nel Paese, con donne e ragazze, anche 12enni, sottoposte a violenza sessuale. Ildocumento di 56 paginesi apre con la testimonianza di Kodi Abbas, un insegnante di 55 anni di Kalakla, quartiere meridionale di Khartoum: «Mia moglie e i miei figli sono scappati di casa quando nel nostro quartiere sono scoppiati gli scontri tra le Forze di Supporto Rapido e l’esercito. I miei due figli più piccoli, Hassan, di 6 anni, Ibrahim, di 8 anni, e il figlio di mio fratello Koko, di 7 anni, erano piccoli e non potevano scappare abbastanza velocemente.Sono stati uccisi tutti e 3». Nel mese di giugnoAmnestyInternationalhaintervistato 181 persone,in primis nel Ciad orientale, ed esaminato un’ampia quantità di materiali audiovisivi e immagini satellitari. Il rapportodocumenta massacri a seguito di attacchi deliberati e indiscriminatiavanzati dalle parti in conflitto contro la popolazione civile e denunciaviolenze sessualicontro donne e ragazze, attacchi mirati contro strutture civili, quali ospedali e chiese e vasti saccheggi. La ong, che guarda principalmente alla capitale Khartoum e al Darfur occidentale, definisce alcune di queste gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, dei veri e propri crimini di guerra. Che cosa sta succedendo nel Paese?100 giorni faleFas, guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, a capo del Consiglio supremo del Sudan,sono entrate in conflitto con leFsr, gruppo paramilitare capeggiate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti,per il controllo del Sudan.Amnestysottolinea che, data la dimensione dei combattimenti e l’organizzazione delle 2 parti, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, si tratta di un conflitto armato non internazionale, a cui si applicano sia il diritto internazionale umanitario sia quello dei diritti umani. Per i crimini di guerra perpetrati, “singoli soldati e comandanti possono essere chiamati a rispondere sul piano giudiziario”. Tra le testimonianze raccolte c’è quella di Fawzi al-Mardi, padre di Ala’, dottoressa di 26 anni uccisa il 15 aprile nel quartiere di Hay al-Manara a Omdurman: “Quella mattina ci siamo svegliati all’inferno. Si sentivanospari ed esplosioni ovunque, senza sosta. Ero preoccupato per mia figlia Ala’, che era andata a lavoro in ospedale. Poi è rientrata, ma pochi minuti dopo un proiettile è entrato dalla finestra del salotto, ha colpito mia moglie al volto e Ala’ al petto, uccidendola all’istante. Un solo proiettile ha distrutto la nostra famiglia nel giro di pochi secondi”.La morte,ha raccontato l’uomo,“ci è entrata dentro casa”. Il 6 giugno decine di persone che si erano rifugiate nei dormitori femminili dellaEl Geneina Univeristy, nel Darfur occidentale, hanno riferito di essere rimaste ferite dacolpi di mortaio. Secondo sopravvissuti e altri testimoni, alcuni attacchi sarebbero stati mirati: il 13 maggio, per esempio, hanno raccontato che gli uomini delleFsrsono entrati nel complesso della chiesa copta di Mar Girgis (San Giorgio), nel quartiere di Bahri a Khartoum, ehanno ucciso 5 religiosi e trafugato danaro e una croce d’oro. Il giorno successivoAdam Zakaria Is’haq, un medico e difensore dei diritti umani di 38 anni, è stato uccisoinsieme a 13 pazienti nella clinica di emergenza Markaz Inqadh al-Tibbi, nel quartiere di Jamarik a El Geneina: «Il dottor Adam curava persone malate in una piccola clinica dato che il principale ospedale di El Geneina era stato distrutto alla fine di aprile dalla stessa milizia armata e dalle Fsr. Gli hanno sparato al petto. Aveva una moglie e 2 figli di 4 e 6 anni», ha riferito un testimone. Amnestydenuncia anche“attacchi basati su motivi etnicinel Darfur occidentale”. Secondo l’organizzazione per i diritti umaniMinority Rights Group International,circa il 70% della popolazione del Sudan è costituita da arabi sudanesi, con una significativa minoranza nera africana del 30%, tra cui Fur, Beja, Nuba e Fallata. All’interno dei confini del Sudan vivono oltre 500 gruppi etnici che parlano più di 400 lingue. I testimoni raggiunti daAmnestyhanno riferito diviolenze perpetrate su persone del gruppo etnico masalit,attaccate da milizie armate delleFsrnella zona di El Geneina: “6 uomini hanno fatto irruzione alle 8 di mattina nella nostra abitazione. Si sono diretti nella stanza in cui c’erano mio marito e i suoi 4 fratelli e li hanno uccisi. Poi sono entrati nella stanza in cui ero con i miei figli e altre 12 persone, tra donne e bambini. Ci hanno presi a bastonate e a scudisciate, ci hanno chiesto dove fossero le armi e ci hanno rubato i telefoni”, ha raccontato Zeinab Ibrahim Abdelkarim. Donne e ragazze, poi, avrebbero subito violenze sessuali da parte dei soldati di entrambe le parti in conflitto. Alcune di loro sarebbero statetrattenute per giorni in condizioni di schiavitù sessuale.Una donna di 25 anni di El Geneina ha raccontato che il 22 giugno tre miliziani arabi in abiti civili hanno fatto irruzione negli uffici dell’anagrafe, nel quartiere di al-Jamarik, dove lavorava, e l’hanno stuprata: «Non c’è alcun luogo sicuro a El Geneina. Avevo lasciato casa perché c’erano sparatorie ovunque e questi criminali mi hanno stuprata. Ora temo di essere incinta. Non potrei sopportarlo». Agnès Callamard, segretaria generale diAmnesty International, ha denunciato che ogni giorno, “mentre leFsre leFascombattono per il controllo del territorio, la popolazione civile sudanese soffre orrori inimmaginabili”. I civili “finiscono in mezzo al fuoco incrociato quando provano a fuggire e vengono intenzionalmente assassinati in attacchi mirati. […] Nessun luogo è sicuro”. Callamardhaesortato la comunità internazionale a estendere e far rispettare l’embargo sulle armi a tutto il Sudane ad aumentare significativamente il sostegno umanitario. “I Paesi vicini devono garantire che i loro confini siano aperti ai civili in cerca di sicurezza”,ha scrittosu Twitter. La “violenza dilagante” nella regione del Darfur, “fa venire in mente la campagna di terra bruciata dei decenni scorsi, in alcuni casi a opera dei medesimi responsabili”, ha spiegato Callamard. Il 21 giugno Amnesty International ha scritto alleFase alleFsrper condividere le sue conclusioni e per chiedere informazioni su specifici casi documentati nel rapporto:le 2 milizie armate hanno risposto a metà luglio, dichiarando di aver rispettato il diritto internazionale e accusando l’altra parte di averlo violato.

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