Fa caldissimoe torna sul tavolo il tema dellosmart working. Lavorare da casa aiuta a non sovraesporsi al calore negli spostamenti da e per l’ufficio e consente di impattare di meno sull’ambiente: ancora una volta, si direbbe la soluzione migliore. E però, è dal periodo della pandemia che viviamo questa dicotomia. Da un lato, ilpersonale, che apprezza oltremodo l’idea dipoter lavorare da casa(o comunque, non dall’ufficio). Dall’altro, idirigenti, i manager o in genere le figure apicali, alcune delle quali si professano (apertamente o meno) del tuttocontrariea questa modalità di lavoro. Tra le motivazioni addotte per questo opporsi a un nuovo modo di produrre, radicandosi nelle tradizioni e nel“si è sempre fatto così”,figura il timore che si possa finire con illavorare di meno. Quasi tutte le ricerche, tuttavia, dimostrano il contrario.Alcune evidenziano, proprio per il nostro Paese, che il tasso dicrescita della produttività del lavoro, che era aumentato con lo smart working, è tornato invece adiminuire dal momento in cui le aziende hanno iniziato a sospendere la possibilità di lavorare da remotoe a richiedere al personale di tornare in presenza. Ma non sarà cheai manager manca quella sensazione di potereche può dare loro il camminare per i corridoi con passo marziale, voltando la testa qua e là per controllare chi sia seduto alla propria postazione (anche se magari passa il suo tempo sui social)? Non sarà che, ancora una volta, ètutta una questione di potere? Che poi, definiamolo questo potere all’interno delle aziende. Secondo la letteratura, i tipi di potere in aziendasarebbero 5, più 2. Si va dalpotere legittimo(che è quello che deriva dal titolo) alpotere coercitivo(che non ha probabilmente bisogno di definizioni). C’é il potere chemotiva con la ricompensa,ma anche quello che si esercita quando le persone sono felici diessere in prossimità di quel certo individuoo perfino di essere come lui o come lei. C’è ilpotere legato al valore dell’esperto, che è intrecciato alla conoscenza o allecompetenze. E poi, se ne elencano 2 specialissimi. Il primo è il potereinformativo:se una persona ha accesso a determinate informazioni che altri non possiedono, detiene un senso di potere sugli altri. Lei è quella “che sa” e sarà ricercata per fornire intuizioni e guida in aree in cui gli altri non hanno conoscenza. Infine, abbiamo ilpotere legato alleconnessioni.Questo, in Italia, lo conosciamo bene: se qualcuno ha una connessione personale con una persona potente o famosa, avrà la possibilità di agire in maniera diversa rispetto alle altre persone. Anche nelle aziende, il networking è la chiave per stabilire connessioni con decisori e leader che esercitano un’influenza. Ora, nei sistemi culturalmente più avanzati, le ricerche suggeriscono cheil potere inteso alla vecchia manierarende i leaders meno reattivi rispetto agli stimoli esterni,perché più concentrati su loro stessi. Ridono più forte, ascoltano di meno, ritengono che la propria esperienza personale sia sempre e comunque superiore (o comunque, più degna di attenzione) rispetto a quella altrui. Eppure, il potere per come l’abbiamo conosciuto sta diventando fuori moda. Iteam di lavoro che funzionano meglio e si portano a casa le performance migliori sono quelli basati sulla gestione orizzontaledelle responsabilità e sullacooperazione. Anche ai senior executive si chiede sempre di più di essere umili (Musk, mi senti?). E, in fase di colloquio, chi usa troppo “io” al posto di “noi” inizia a essere scartato. Siamo pronti per un potere nuovo?
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