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Industria tessile: problemi per diritti e inquinamento

 

In Europa ilsettoretessilesi sta preparando ad affrontare gli effetti di una nuovaregolamentazioneche mira aridurre gli sprechie a rendere l’industria dell’abbigliamento piùsostenibile, aumentando la responsabilità da parte delle aziende. Se i progressi su questi fronti, tuttavia, potrebbero essere lenti e si stima che il costo per le aziende sarà alto,i danni ambientali e sociali non si fermano. Nel 2021 leaziende della modaeuropeehanno fatturato147 miliardi di euro;la loro attività, però, ha causato gravidanni ambientali, compreso l’inquinamento chimico dovuto alle fabbriche di viscosa e montagne di rifiuti tessili. Anche se il tempo diutilizzo medio di un capo di abbigliamento in Europa si è ridotto del 36%, la produzione di vestiti è cresciuta (tra 2000 e 2015 è raddoppiata). Ogni cittadino consuma ogni anno quasi26 chili di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11. Quasi la metà dei vestiti usati finiscono inAfricaindiscariche a cielo apertoe il 41% in Asia, mentre due terzi degli scarti che restano in Europa vengono inceneriti anziché essere recuperati. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, dall’inizio del ciclo produttivo fino alla distruzione dei capi,l’industria tessile provoca così 270 kg di emissionidi CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’Unione europea hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate. Accanto all’inquinamento dell’aria, si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabilea causa di vari processi come la tintura e la finitura, mentre il lavaggio di capi sintetici rilascia ogni anno0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari. A inizio anno, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di includere nel Green Deal nuove misure per la prevenzione degli sprechi, il riutilizzo dei prodotti e il riciclaggio dei rifiuti tessili in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale. Tra le proposte della Commissione europea c’è anche quella di far pagare l’industria tessile per la lavorazione di abbigliamento e calzature dismessi. Ad ora, la direttiva sui rifiuti approvata dal Parlamento europeo nel 2018 stabilisce che iPaesi dell’Ue siano obbligati a provvedere alla raccolta differenziata dei prodotti tessili entro il 2025,ma i passi da compiere in direzione “circolarità” della filiera sono ancora molti. Intanto l’80% degli effetti negativi sull’ambientesi ripercuotein Asia, dove si concentra la gran parte della produzione tessile dell’industria europea. A subire le conseguenze di un settore che produce sempre di più a discapito del costo di realizzazionesono anche ilavoratori.Sfruttati e sottopagati,chi lavora nellefabbriche asiaticheè esposto aglieffetti dannosi dei prodotti chimiciimpiegati per il trattamento di materiali e vittima diincidenti sul lavoroe maltrattamenti causati dalla mancanza di protezione sociale. InBangladesh, per esempio,almeno 1 fabbrica su 5non assicura ilsalario minimolegale ai propri dipendenti; ma i diritti dei lavoratori che producono vestiti per i marchi europei sono sistematicamente violati anche inIndia, Pakistan e Sri Lanka. Oltre a essere sottoposti a orari di lavoro estenuanti per un salario medio estremamente basso e alla mancanza di sicurezza,Human Rights Watchdenunciache i proprietari e i dirigenti delle fabbriche spessolicenziano le lavoratrici incinte o negano loro il congedo di maternità; compionoritorsioni contro i lavoratori che aderiscono o formano sindacatie costringono le persone a fare straordinari massacranti. Non mancano inoltre i casi in cui i dirigenti o i lavoratori maschi che molestano sessualmente le lavoratrici restano impuniti.

Redazione

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