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La nuova sfida di Boyan Slat contro l’inquinamento da plastica

 

OggiBoyan Slatè cresciuto, a quasi trent’anni, e con lui purtroppoè cresciuta anche la quantità di plastica presente e diretta ai nostri oceani.Quando aveva 16 anni il giovane olandese, impressionato dalla quantità di plastica osservata durante una vacanza in Grecia, decise di dedicarsi alla battaglia per tentare di frenare questa forma di inquinamento. A 18 anni creòThe Ocean Cleanup, organizzazione senza scopo di lucro che aveva il sogno di arginare la famosa “isola di plastica”, più precisamente una “zuppa” di detriti plastici dispersi nel Pacifico e chiamata ancheGreat Pacific garbage patch. Con la sua organizzazione raccolse milioni di euro e diede vita alle prime navi capaci, tramite speciali barriere e reti, di catturare grandi quantitativi di plastica. Allora, come adesso, il suo metodo fu criticato perché – con milioni di euro a disposizione – si concentrava più sulla raccolta che su tentare, anche con le dovute pressioni politiche, di sradicare il problema della produzione di plastica alla base. Detto ciò, oggi che sta per compiere 29 anni, oltre dieci anni dopo l’avvio di quel sognoOcean Cleanupha dichiarato di aver rimosso 200 tonnellate di plastica dall’“isola”,un buon risultato ma decisamentelontano dall’obiettivo iniziale, anche perché come ha confermato lui stesso l’intero processo è stato più difficile del previsto. Da quello scopo di “raccogliere il 90% della plastica presente negli oceani entro il 2040” si è infatti ancora lontanissimi, tanto che ora Boyan parla di rimuovere “l’1% dell’isola di plastica dal Pacifico entro la fine di quest’anno”. Ora però la sua organizzazione sta facendo un passo un po’ più indietroverso la radice del problema: si sta concentrando sui fiumi(10 sono quelli principali imputati di trasportare la plastica negli oceani nel mondo).Ha realizzato una decina di barriere speciali, leInterceptor Barricade,che sono in grado di intercettare la plastica prima di arrivare agli oceani. Per esempio nel fiume Las Vacas in Guatemala sostiene da fine aprile di aver già rimosso quasi 900.000 chili di rifiuti, come 250 camion carichi di immondizia. Considerando che il 90% dei rifiuti che arrivano nel mare provengono dai grandi corsi d’acqua,la soluzione appare più vincente. Malesia, Indonesia, Vietnam e Sud America: in varie zone del mondo duramente colpite dall’inquinamento da plastica il giovane difensore della Terra sta provando a puntare tutto sul bloccare il flusso di detriti grazie alle nuove barriere per poi avviare il materiale al riciclo, idea non diversa da quella sperimentata da più realtà (Italia compresa, anche nel Po).«Ripulendo questi fiumi abbiamo una reale opportunità di chiudere rapidamente il rubinetto, guadagnando tempo fino a quando non sarà possibile migliorare la gestione globale dei rifiuti», sostiene il fondatore diOcean Clean. Ma c’è una sfida che l’organizzazione intende portare avanti e apparepiù innovativa (e complessa)di tutte: quella dicostruire sistemi in grado di recuperare la plastica e contemporaneamente reggere agli eventi sempre più estremi della crisi del clima. Per esempio proprio in Guatemala stanno tentando di ottimizzare le barriere e il sistema di raccolta in previsione di forti piogge stagionali e sono in attesa della prima occasione per testare questo metodo. «Ora attendiamo il vero banco di prova: una forte alluvione e uno tsunami di immondizia che porta centinaia di tonnellate di plastica in poche ore, con la speranza di poter validare pienamente la nostra soluzione e porre fine a queste inondazioni annuali di plastica nel Mar dei Caraibi», chiosa Slat.Se funzionerà, gliInterceptor saranno piazzati su vari fiumidel Paese grazie a una collaborazione avviata con il Ministero dell’Ambiente e delle Risorse Naturali (MARN) come parte del piano d’azione delle autorità per affrontare i problemi ambientali nella regione.

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