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Piccola guida agli stereotipi cromatici

 

Il bianco e il nero.Blu per i maschietti, rosa per le bambine.Il rosso e il verde del semaforo ma anche della passione e dell’ambiente. L’arcobaleno dell’orgoglio, ma anche delrainbow washing. L’argento del secondo gradino del podio, ma anche della terza età. Il color carne, che carne non è. I colori – e i simboli che portano con sé – sono metafora del modo in cui vediamo il mondo.Non a caso, secondo alcuni studili percepiamo in maniera diversa in base alla lingua che parliamo(ma no, non è vero che gli eschimesi hanno più di 20 modi di dire neve). I colori portano con sé messaggi, ma anche stereotipi e discriminazioni. Per questoCristina Maurelli e Giuditta Rossihanno creato per Flaco EdizioniStereotipi aColori(190 p., 20€), una “piccola guida ai pregiudizi e ai bias cromatici”. Un libro che non è solouna chicca da avere in libreria, rigorosamente in formato cartaceo – gli ebook, ci ricorda l’editore «finiscono dimenticati, non puoi annusarli né sottolinearli, non puoi metterci dentro un fiore e sono facili da violare» – ma un vero e propriomini compendio, estremamente scorrevole ma ricco di tantissimi spunti,sucome ai colori abbiamo associato non solo valori ma un vero e proprio codiceche ci aiuta sì a leggere la realtà ma, come tutti i codici, non è neutro. Epuò diventare strumento di stigma, discriminazione ed esclusione. Stereotipi a colorinasce dalla campagna di advocacyColor CarnediBold Storiesper “cambiare colore al color carne”, che i dizionari definivano (e alcuni ancora lo fanno) “di colore rosa pallido, simile a quello della carne umana”.Ma il colore della carne umana è solo rosa?Chiedevano provocatoriamente Maurelli e Rossi, svelando come dietro un semplice termine convenzionale si celasse in realtà una visione non inclusiva chepresupponeva che la bianchezza fosse la normae tutto il resto “altro”. Eppure, il libro non è un semplice ampliamento del progetto per includere tutta la tavolozza cromatica. È uno strumento cheparte da quell’approccio e diventa qualcosa di più, per aiutarci a guardare con lenti nuove,a mettere in discussione e osservare con sguardo criticoassociazioni mentali che diamo per scontate ma che così scontate non sono. E non lo sono perché, come tutti i codici, anche quello dei colori è convenzionale equello che è vero oggi può non esserlo domani. È il casodel rosa e del blu, così dicotomici, così definitivi nell’incasellare bambini e bambine nei ruoli di genere prestabiliti eppureimmensamente arbitrari, se pensiamo che fino all’inizio del ‘900 il colore dei bambini era, per tutte e per tutti, il bianco,gender neutral ante litteram, e chefino alla Seconda Guerra Mondiale l’associazione blu/rosa e maschile/femminile era esattamente opposta. Il blu era il colore del cielo, di Venere, della delicatezza e della docilità, e quindi delle bambine. Il rosa era una sfumatura del rosso, il colore di Marte, della forza. In una parola, della mascolinità. Come il blu sia oggi il colore dei maschietti e il rosa quello delle femminucce, e come questi due colori siano diventati cosi binariamente e indissolubilmente legati – al punto chele autrici dedicano un unico capitolo al “Rosazzurro”– lo spiega solo la magia del marketing, che ancora tanti danni continua a fare. Maanche le associazioni idee-colori che nascono per includere (o vorrebbero farlo) possono diventare strumento di discriminazione, talvolta anche di stigma. Non è solo il caso dell’arcobaleno, il colore dell’inclusività per eccellenza che nelle mani di brand e aziende diventa l’ennesimo strumento diwashing,ma anche del blu.Il colore della tristezza per antonomasia–Inside Outdella Pixar è del resto un esempio perfetto di come anche le emozioni abbiano una scala cromatica condivisa – è stato scelto a livello istituzionale per celebrare ogni 2 aprile laGiornata per la consapevolezza sull’autismo, eppure molte persone neurodivergentihanno scelto i loro colori(come il rosso e l’oro) per raccontare la neurodivergenza e se stessi rifiutando l’associazione autismo-tristezza. Nel libro, però, non ci sono solo le parole e le voci delle autrici ma anche quelle di tante e tanti“Color Thinker”, uomini e donne provenienti da diversi settori che, attraverso una riflessione personale sui colori, la loro esperienza e il loro sguardo, ci aiutano ad attraversarele diverse sfumature che i termini discriminazione, stereotipo e inclusione assumono. Ec’è un gioco “pop”– un po’Nomi, Cose, Cittàe un po’Strega Comanda Colore– da fare da soli o, ancora meglio, in gruppo per vedere quanto la cultura in cui viviamo sia permeata da colori che sono anche qualcosa di più e imparare a districarsi tra stereotipi cromatici, bias e luoghi comuni.

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