Categories: Economia

Da Bankitalia a McKinsey: Italia, investi sulle donne

 

Quella che state per leggere non è una novità:l’occupazione femminile nel settore STEM nel nostro Paese è particolarmente bassa. La media europea del 2022 si attesta al 52%, con picchi del 64% in Lituania e in Corsica. Mentre a noi spetta il primato negativo: la palma va al Nord Ovest con il 45%, seguita da Nord-Est e Sud, con il 46%. E qualche giorno fa ne ha parlato anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, rammentando che il problema trae origine dall’Università: sul totale delle giovani donne che frequentano un corso universitario, a scegliere le materie STEM è solo il 14,5%. Non è un tema solo italiano, se pensiamo che nel Paese più virtuoso in Europa, ovvero la Germania, questa percentuale è pari al 19,2%, secondo l’Osservatorio StemRethink Ste(a)m education — A sustainable future through scientific, tech and humanistic skillsdi Deloitte. Le donne sono il 94% delle persone laureate in scienze dell’educazione, più del 70% di quelle laureate in scienze umanistiche, mentrerappresentano solo il 27% di quanti si laureano in ingegneria. Certo, mi viene comunque da pensare ai dati recentemente pubblicati dagli ordini professionali, secondo i quali le ingegnere, in Italia, guadagnano ancora circa la metà di quanto guadagnano gli ingegneri e mi viene da chiedermi: ma in fondo, quali incentivi diamo, alle giovani donne? Ad ogni modo, il Governatore ha ragione nel sottolineare un dato: sono proprio le scelte rispetto alle materie da studiarea determinare circa il 60% del pay gap, sin dal momento dell’ingresso sul mercato del lavoro. Peraltro, in un mercato del lavoro nel quale, che si occupano di recruiting riferisce di incontrare difficoltà nel coprire le posizioni necessarie in ambito ICT. Ma allora, perché le donne non scelgono questi percorsi formativi? Nel Report Deloitte, il dato è chiaro: il 50% delle giovani donne percepisce l’esistenza distereotipi di genere che impediscono loro di studiare le materie STEM(se vi state chiedendo i dati per i giovani uomini, siamo fermi al 24%). E a Deloitte fa eco McKinsey, nel ReportWomen in tech. Nel settore tech, le donne ricoprono solo il 22% di tutti i profili tecnologici nelle imprese europee. E tra le poche occupate, quelle inserite in settori altamente tecnici, come quello del Cloud, precipitano all’8%. È, ancora una volta, un tema di efficienza, anzi, di spreco collettivo. Secondo McKinsey, se il numero delle occupate nel settore raddoppiasse, arrivando al 45%, il Pil europeo potrebbe aumentare fino a 600 miliardi di Euro. Sono donne, sono madri Sono soggette a stereotipi, finiscono con lo scegliere di studiare materie che consentono loro di accedere a occupazioni meno retribuite. Ma anche quelle poche che riescono a entrare nel settore tech, rimangono ai margini rispetto ai profili più tecnici. Spesso vengono pagate comunque meno dei colleghi. Perchéalcune di loro, a un certo punto, diventano madri. E, secondo McKinsey,la metà di loro lascia il posto di lavoro(proprio nel momento in cui, invece, si costruiscono le carriere). Ma questo, purtroppo, non riguarda solo il settore tecnologico: secondo Bankitalia, dopo aver avuto un figlio, nel periodo iniziale della cura più brutale,le donne lavoratrici arrivano a perdere fino all’80% dello stipendiorispetto alla media delle colleghe che invece di figli non ne hanno. Con degli effetti a lungo termine: ancora dopo 15 anni dalla nascita del figlio, pur essendo ugualmente preparate, avendo la stessa età e anche a parità di stipendio iniziale,la retribuzione media annua delle lavoratrici madri è circa la metà rispetto alla retribuzione media delle lavoratrici senza figli. Effetti a lungo termine confermati anche dallo studio pubblicato dall’Institute of Applied Economic Research(I-Aer) su 741 piccole e medie imprese italiane: il 57% delle donne che occupano posizioni di potere non ha figli. E per gli uomini? La situazione, anche in questo caso, è diversa: la percentuale si ferma al 25%.

Redazione

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