Hiv/Aids.Il 5 giugno 1981 ilCenters for Disease Control and Prevention di Atlanta(Cdc) riportava sul bollettino epidemiologico settimanale l’insolito aumento, in giovani maschi apparentemente immunocompetenti, di polmoniti causate da Pneumocystis carinii (Pcp), un’infezione opportunistica capace di svilupparsi in pazienti debilitati da un deficit immunitario. È la prima testimonianza dell’epidemia di Aids, la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, che nei successivi trenta anni avrebbe portato alla morte di 25 milioni di persone in tutto il mondo. Poiché la malattia si presentò soprattutto in giovani maschi gay, la stampa individuò nei soli omosessuali le vittime della morbo letale e, in assenza di un nome preciso, i giornalisti si sbizzarrirono nella creazione di nomi attraverso cui riferirsi alla sindrome che contemplavano, nella quasi totalità dei casi, il termine “gay”: gay compromise sindrome, cancro gay, morbo gay, peste gay e, soprattutto, GRID, acronimo usato anche in ambito scientifico nelle prime fasi di studio per riferirsi alla Gay-Related Immune Deficiency. Fu solo nel 1982 che la malattia ebbe finalmente il nome ufficiale di Aids, Acquired Immune Deficiency Syndrome. Nell’aprile del 1984, un virus identificato l’anno precedente, che in seguito avrebbe preso il nome di Hiv (Human Immunodeficiency Virus), fu ufficialmente dichiarato l’agente responsabile dell’Aids, rendendo possibile effettuare test per valutare la presenza dell’infezione – o “sieropositività” – anche in una fase asintomatica. Per tre anni, dalla comparsa della malattia all’individuazione del virus, il “morbo gay” aveva scatenato il panico nella popolazione e, complici campagne mediatiche (e talvolta istituzionali) che individuavano categorie e non comportamenti a rischio, si era rafforzata l’idea che l’Aids fosse un castigo divino per punire i peccatori. Una convinzione che, nonostante le scoperte scientifiche, faticò a morire anche negli anni successivi.
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