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Globalizzazione: 1 italiano su 3, aspetti negativi battono i positivi

 

«Laglobalizzazioneè come la pioggia e come il vento, non si può fermare, non si può domare, non si può imbrigliare», diceva Bill Clinton. Un fenomeno inarrestabile che la politica ha per anni assecondato ottenendo, al tempo stesso, innumerevolivantaggi e svantaggi. È proprio attorno a questo tema che si sviluppaRipensare la globalizzazione, ilFestival Internazionale dell’Economiache si terrà dal 1 al 4 giugno a Torino. Un fenomeno che, nonostante pandemie e guerre,sembra non accennare ad arrestarsima che, forse, deve essereanalizzato in una nuova ottica.L’obiettivo è, infatti, creare uno spazio diconfronto tra economisti e scienziati socialiper interrogarsi riguardo come agire, con quali tempistiche e identificare il ruolo delle istituzioni in questo cambiamento. Laglobalizzazioneha indubbiamente giovato al progresso tecnologico abbattendo le distanze: in pochi anni, persone e affetti lontani si sono avvicinati, così come informazioni precedentemente inaccessibili alle masse sono oggi divenute a portata di un semplice click. Eppure ci domandiamo:è sufficiente tutto ciò per parlare di successo? Secondo una larga fetta di italiani la risposta è no.La nuova ricercasviluppata da Nando Pagnoncelli, presidenteIpsos, in occasione del Festival Internazionale dell’Economia, evidenzia come oltre1 intervistato su 3 ritenga che gli aspetti negativi della globalizzazione abbiano avuto in Italia un impatto di gran lunga maggiore rispetto ai benefici,mentre il26% presenta una posizione completamente oppostae il 23% identifica un pareggio tra le 2 variabili. Diversa è invece la percezione nei confronti dei Paesi dalle economie più avanzate: in questo caso, è il 42% degli intervistati (contro il 20%) a ritenere che ci siano stati più vantaggi che non con la nascita di questo fenomeno. Il mondo dellavoroè uno dei campi nei quali gli effetti dellaglobalizzazionevengono percepiti con maggior significatività: solamente il27%ritiene che il fenomeno abbiaimplementato le proprie opportunitàlavorative, mentre quasi il 40% non ha rilevato alcun vantaggio. Infatti, come evidenzia anchel’economista Tito Boeri,uno dei principali risultati della globalizzazione è unincremento della concorrenzanel mercato del lavoro e, conseguentemente, una maggior difficoltà ad accedere alle offerte e a mantenere il proprio posto di lavoro. Tra lepreoccupazionidegli italiani c’è anche quella diregistrare una perdita di valore dei prodotti tipicinonché del ruolo delle usanze e tradizioni nostrane a favore di una cultura comune che finisca perannullare le singoleidentità. I Governi e le scelte politiche si sono fino a oggi approcciate all’argomento proprio come se si trattasse di una forza della natura inarrestabile. Ma siamo sicuri sia così? Forse no.Tornare indietro adesso è difficile, se non impossibile,dichiara Boeri, ma su scala sovranazionale possiamo ancora fare delle scelte per cambiare il nostro futuro. Il percorso dunque è ancora da tracciare e l’Europapuò acquisire in questo spazio un ruolo centrale. Tuttavia, è necessario imparare a valorizzare le opportunità offerte dalla globalizzazione ponendo invece un freno ai rischi connessi. Forse il trucco è quello discoprire come rallentare:in un mondo che continua a correre sempre più velocemente dovremmo, quindi, trovare il modo di camminare.

Redazione

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