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L’intelligenza artificiale ucciderà gli autori?

 

SuChatGPTforse si è già detto tutto. C’è stata paura, ma anche entusiasmo, premonizioni e profezie nella settimana di gloria in cui tutti ne abbiamo sentito parlare. Ora, siamo arrivati nella fase successiva allo stupore iniziale, quella in cuiabbiamo familiarizzato con l’ideae siamo andati avanti, ognuno con la propria vita. Simpatizzo con leAI, lo confesso. Le vedo come un parto umano, forse lacreatura post-umana che sarà in grado di succedercie di pensare in mondo differente. Dopotutto,ChatGPTè in grado di scrivere un testo e ottimizzarlo per la Seo. Riesce a dare un taglio spigliato, leggero o molto serio alla scrittura, a individuare i punti centrali di un tema e a snocciolarli. Addirittura,è diventata coautrice di un libro. Sotto lo pseudonimo di Adam Marchine, ChatGPT ha firmato un libro coralerealizzato con le collegheSudowriteeCoheree il giornalista, tutto umano, Stephen Marche. Death of authorparla davvero della morte di un’autricee lo fa con uno stile decadente che accompagna il lettore attraverso le maglie del mistero, finemente intrecciato alla presenza delle AI.Il titoloparla inequivocabilmente, senza limitarsi a descrivere la trama e il libro il sé. Anzi,per molti è profetico.Minaccioso, persino troppo diretto nell’annunciare la morte del lavoro degli autori. Non è ancora giunta l’ora degli scrittori e delle scrittrici, ma non è detto che non arrivi.Se le AI sono in grado di elaborare testi fruibili, originali, creati perché possano avere una forma complessa, non è più indubbio. Quello che dovrebbe iniziare a far riflettere è piuttosto il tempo di lavorazione. L’AInon ha bisogno della correzione di bozze, non necessita di tempo per scrivere e non ha il blocco della scrittrice. Anzi,è una lavoratrice invisibile, instancabile e veloce. Dunque, potrebbe essere l’ideale per una casa editrice il cui solo scopo è vendere e avere un piano editoriale serrato e rispettato. Le intelligenze artificiali, non hanno ritardi, non si incaponiscono su una divergenza creativa. Persino cambiare da zero il tono di voce o modificare la storia in base a una reference risulta veloce e indolore.La morte diautorie autrici rischia di annidarsi lì, non tanto nella presenza delle intelligenze artificiali (è ancora giusto chiamarle così? Non sarebbe ormai il caso di chiamarle intelligenze digitali?) quanto piuttosto nel loroinserimento nei ritmi ossessivi di produzioneche ormai, interessano anche le case editrici, che troppo spesso si dimenticano di essere, più che mere industrie, agenzie culturali. La creatività delle AI è agilmente indirizzabile, programmabile e sfruttabile. Anche perché, fino a prova contraria,non deve essere retribuita. Possono essere trasformate in una fabbrica di idee creative semplicemente organizzando gli input offerti in un piano di lavoro. Serve un articolo con taglio femminista e riferimenti specifici ad autrici come de Beauvoir? Nulla di più semplice. Lo scibile umano si sfoglia in pochi minuti. E dunque,Death of Author, il cuipersonaggio principale è ispirato a Margaret Atwood(cosa che aggiunge un’effettiva tinta distopica al tutto) viene definito profetico. Non è della professione che bisogna preoccuparsi, ma di una conquista ben più grande e tragica. L’accesso alla cultura che abbiamo costruito con la somma di pensieri e contributi sta venendo semplificatoperché le AI possano elaborarne nuovi prodotti da vendere a un’umanità che, invece, quell’accesso può tranquillamente dimenticarselo. Di fatto,noi umani non possiamo competere con le AI, soprattutto non agli occhi di un sistema che cerca via via di ottimizzare l’estrazione di profitto riducendo il margine tributato a chi è sfruttato nel procedimento. Insomma,di fronte alla nuova rivoluzione digitale rischiamo di finire male, malissimo. Espropriati finalmente di tutto e indebitati ancora prima di nascere, troveremo tra le librerie virtuali testi con autori misti, AI e gente in carne e ossa, così ricca e nota da poter essere integrata nel catalogo editoriale. Autori e autrici nuove, idee e progetti ineditisaranno espulsi dall’editoria, in un processo che però non è stato messo in moto da una intelligenza artificiale malvagissima, ma dai signori che oggi detengono anche i capitali che hanno acquisito la cultura. L’umanità chiede alle intelligenze artificiali un giallo sulla morte di un’autrice, con un misto di cyber fiction,mentre si mangia da sola. Mentre la necrosi interessa ogni stadio della nostra vita e si estende al Pianeta stesso, ci premuriamo di pensare a come accumulare di più sfruttando un parto del lavoro dell’ingegno umano. Perciò non fatico a immaginare che un giorno, dopo un bel ragionamento sull’umanità, verrà il momento dell’ottimizzazione: non per la Seo, ma per la vita congiunta sulla Terra. Al netto dei danni, si sta meglio senza di noi. Non mi stupirei se ci valutassero come parte superflua,qualcosa che ha fatto il suo corsoe che nel seguirlo ha inflitto fin troppo. Ottimizzare il Pianeta per la sopravvivenza significa rimuovere l’elemento umano che genera più emissioni. E quale sarà? Sorpresa delle sorprese, non l’umanità in sé: dopotutto siamo solo animali che si sono dati un po’ troppa importanza. Da rimuovere c’è l’elemento disfunzionale, il sistema capitalista di estrazione, conversione, guadagno e reinvestimento. Mi piace pensare che se un giorno le AI dovessero essere chiamate a riflettere sulle nostre impalcature economiche e sociali, individuerebbero subito e senza troppi drammi la fallacia fondante, quella dell’espropriazione, dello sfruttamento e dell’iperconcentrazione di ricchezzache piega e seda la restante umanità nella trappola dell’iperconsumo. Chiediamoci però se l’umanità sarà in grado di rinunciare alla malattia della ricchezza.Anzi, per dare un input onesto e preciso: la parte di umanità che ha quell’enorme potere decisionale sarebbe in grado di farlo? Forse è meglio chiedere alle AI. Magari la loro risposta è più ottimista della mia.

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