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Levi’s impiegherà modelli e modelle create dall’AI

 

Levi’s sperimenterà l’impiego dimodelleemodelligenerati da intelligenza artificialenei suoi store digitali. L’annuncio è stato dato dalla stessa azienda mercoledì 22 marzo sul palco delBusiness of Fashion Professional Summit on TechnologydiNew York. Il progetto vedrà la luce verso la fine del 2023 e sarà realizzato in partnership con l’agenzia di moda digitaleLalaland.ai. Gliavatarcreati dall’intelligenza artificialenon sostituiranno i modelli umani ma ne integreranno “il numero e la diversità”. L’intento primario dichiarato da Levi’s, è infattioffrire un’esperienza di vendita più inclusiva, personalizzata e sostenibile. La clientela potrà vedere gli abiti indossati da differenti tipologie di persone, quanto più possibile simili a sé, per età, taglia, corporatura e colore della pelle. Ma alloraperché non assumere persone reali che rispecchino questa diversità? Dopo decenni in cui sulle passerelle hanno sfilatomodelle e modelli bianchi, magrissimi e rispondenti a standard di bellezza inarrivabiliper la maggioranza delle persone, da qualche anno l’industria dellamodasi sta mostrandopiù aperto a diversi canoni estetici e alle persone Bipoc. Sembra quindiparadossaleche proprio ora, invece di dare lavoro e visibilità sociale a differenti categorie di modelli e modelle,si preferisca una diversità virtuale e non reale. Per questole critiche più durerivolte a Levi’ssono arrivate da attivisti e utenti socialparlano dirazzismoe finta inclusività. Inoltre,i database da cui l’intelligenza artificiale attinge le immagini sulle quali poi lavora rispecchiano spesso i bias socialmente più diffusi, come stanno dimostrando diversi studi, tra cui quella di Wired Italiafirmata daTBWAItalia, che mostra comel’AI rappresenti più spesso persone bianche.Ma si può considerare vera inclusività la creazione di immagini di persone Bipoc partendo da fotografie di persone bianche? O è equiparabile alla pratica delblackface? È possibile poi che a programmare queste immagini lavorino persone che non si identificano con le caratteristiche di cui dotano i modelli virtuali che sviluppano. Esiste quindi ilrischio, per esempio,che una modella nera generata da intelligenza artificiale non sia la rappresentazione di una vera donna nera ma solo l’immagine che un uomo bianco ha delle donne nere.In questo senso, la possibilità di replicare stereotipi negativi o discriminanti è molto alta. Levi’s ha risposto alle polemiche con uncomunicato stampain cui sottolinea chenon smetterà di ingaggiare modelli e modelle umanie che questa non è e non sarà l’unica iniziativa intrapresa dall’azienda per favorire equità e inclusività. Anche il fondatore diLalaland.ai, Michael Musandu, è intervenuto sulla questione, spiegando alGuardianche «non è fattibile per le case di moda fotografare nove modelli per ogni singolo prodotto che vendono, perché non dovrebbero ingaggiare non solo loro ma anche fotografi, parrucchieri, truccatori». Con persone generate da intelligenza artificiale, insomma, le aziende avrebbero un risparmio economico considerevole. Levi’s però non è l’unica ad affacciarsi a questa nuova era.AnchePrada, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Givenchy impiegano modelli generati da AI.Walmartpoi, dal 2022offre l’esperienzaBe Your Own Modeltramite la propria app. Caricando una foto di sé a figura intera, il software appone l’immagine del vestito scelto, come in un camerino virtuale, restituendo anche pieghe e ombre sul corpo. Sempre inAR shopping(shopping in realtà aumentata), si colloca unapartnership tra Snapchat e Amazon Fashionchepermette agli utenti di provare virtualmente occhiali di diverse marche caricando una foto del proprio viso. Ci sono poi i casi diShadu Gram, la primasupermodella digitale, eMiquela Sousa,influencer da oltre 2 milioni di follower su Instagram, dove è definita “unarobotdi 19 anni che vive a Los Angeles”. Anche se in questo caso non si tratta di AI ma di Cgi, immagini generate al computer. ProprioMiquela è stata più volte al centro di polemiche: innanzitutto i suoi 19 anni li avrà per sempre, un enorme vantaggio in un mondo fortemente pervaso di ageismo come quello della moda. Nel 2019Calvin Klein si era scusatopubblicamentedopo essere stato accusato di queerbaiting per una pubblicità in cuiMiquela baciava la modella Bella Hadid. Pochi mesi dopo Miquela aveva raccontato sui social di essere stata aggredita mentre usava un servizio di car sharing, e i suoi creatori furono per questo accusati di aver inventato un abuso sessuale e un finto trauma per arricchirsi. Ed è questo un nodo cruciale, l’autenticità, comescrive suVogueSinead Bovell, modella e fondatrice della startupWaye,con cui fa ricerca e sensibilizzazione riguardo alle nuove tecnologie e al loro impatto sul lavoro del futuro. «Miquela e Shadu non possono fare nulla di loro spontanea volontà. Non possono pensare o imparare o offrire pose diverse in modo indipendente. – Inoltre – noi modelle umane abbiamo lavorato sodo affinché le nostre storie venissero ascoltate e le nostre esperienze autentiche venissero considerate, abbiamo lottato per cambiare l’idea che fossimo solo una taglia o un manichino per vestiti. […] In alcuni casi il nostro attivismo ci è costato il posto di lavoro». Se da una parte, quindi, sembrascorretto che i brand di moda si avvantaggino tramite l’intelligenza artificialedi diritti conquistati a fatica da modelli e modelle umane, dall’altra solo questi ultimi possono offrire storie, personalità e capacità di crescita indispensabili per un rapporto più diretto ed emozionale con utenti e clienti, ancora considerato indispensabile nel marketing. Magari i progressi tecnologici modificheranno anche questo aspetto in futuro. Di certo, in ogni caso, c’è cheil progresso non si ferma, quindi è inutilmente allarmistico accusare ora l’intelligenza artificiale di stare rubando il lavoro a ragazzi e ragazze ma è altrettanto poco saggio ignorare il cambiamento. Meglio iniziare ad adattarsi e farsi trovare pronti quando servirà.

Redazione

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