È un’impressione ogli incontri tra umani e animali non umani selvatici sembrano in crescita? Forse, più che un’impressione, è una tendenza. Una vertiginosa convergenza di fattori sta in effettirestringendo lo spazio vitale,spingendo le specie a incrociarsi più spessoche in altri momenti storici. Si tratta però di una multifattorialità ben nota, che va sotto il termine dicrisi climatica. E sono i ricercatori dellaUniversity of Washingtona darne conferma, spazzando via congetture e speculazioni sui comportamenti degli animali. Non si tratta di aggressioni gratuite dovute alla crudeltà dell’individuo, ma vere proprie coincidenze di necessità. Dopotutto,la fandonia che gli animali non abbiano agentivitá è ancora diffusa. Viviamo nell’illusione, squisitamente antropica, che gli animali siano creature in qualche modo deficienti di senso del sé e della propria vita, incapaci di fare nulla di più complesso che seguire l’istinto. E a questo, diamo agilmente tutte le colpe. Anzi, alla specie umana fa estremamente comodo credere fermamente che esista un’intero regno senzienteincapace di agire se non per mero impeto. Gli animali, però, non solo agiscono con senso, ma hanno una psiche, una cultura è una vita emotiva complessa. Eva Meijer, specializzata inanimal studies, ne offre ampio esempio nel suo libro suiLinguaggi Animali. Dai riti funebri di corvidi e pachidermi, allinguaggio grammaticale delle ghiandaiefino alla cultura orale tramandata delle balene,il regno animale si mostra molto più strutturato di quanto all’essere umano piaccia credere. Così, non sorprende che una volta realizzata la crisi, gli animali si attivino per porvi rimedio in qualche modo. Per scovare cibo o trovare un nuovo spazio per la comunità,si muovono modificando rotte e percorsi in modo da adattarsi, per quanto possibile, alle necessità immediate. Dunque, un individuo alla fame, inevitabilmente, cercherà cibo e lo farà là dove è più probabile che si trovi disponibile, incustodito e in quantità. Quando gli orsi polari, i più grandi predatori terrestri, erano stati avvisati tra gli immondezzai in Russia, il mondo era rimasto sbigottito. Sconvolto, attonito davanti all’ultima orma del predatore fatale, ma incapace di comprendere la gravità del fatto. I selvatici entrano nella sfera abitativa umana se non hanno alternativa. Sarebbe davvero ingenuo pensare che un orso abituato a cacciare foche prediliga succhiare gocce congelate di sangue irrancidito da una busta di plastica. Eppure, non ci siamo ancora rassegnati a questa presenza. Anzi, non l’abbiamo ancora compresa fino in fondo. L’umanità ha capito chela crisi climatica sta riducendo le risorse disponibilie si sta affaccendando, divisa in Stati, ad accaparrarsene fette sempre più consistenti. Dalland grabbing, alla messa a reddito di terreni ancora liberi e intonsi, stiamo allargando le nostre mire di sopravvivenza alla presa completa della Terra. Nel mentre, i terreni esausti e senza risorse producono poco e nulla, le foreste si riducono, gli habitat delle varie specie animali non umane si impoveriscono e restringono fino a non essere più sufficienti. E gli animali, per conseguenza, si spostano, avventurandosi anche in quegli ambienti di cui hanno più paura, come le città. Questo riguarda la distribuzione degli animali non umani nell’ordinario degrado ambientale e atmosferico, ma nella progressione della crisi sono anche gli eventi catastrofici e improvvisi ad aumentare per frequenza. Secondouno studio apparso suNature, infatti: Le inondazioni torrenziali in Tanzania hanno portato apiù attacchi di leonidopo che la loro solita preda è migrata lontano dalle pianure alluvionali.Le temperature dell’aria più elevate in Australia hanno innescatocomportamenti più aggressivi nei serpenti marroni orientali, portando a più incidenti di morsi di serpente.Gli incendi a Sumatra, in Indonesia, innescati da El Nino,hanno spinto elefanti e tigri asiatici fuori dalle riserve e nelle aree abitate dall’uomo, provocando almeno un decesso.L’interruzione delle reti alimentari terrestri durante gli eventi di La Nina nelle Americheha spinto gli orsi neri nel New Mexico e le volpi in Cile negli insediamenti umaniin cerca di cibo.Le temperature più calde dell’aria e dell’oceano in un grave El Nino hanno portato a unaumento degli attacchi di squali in Sud Africa. Le inondazioni torrenziali in Tanzania hanno portato apiù attacchi di leonidopo che la loro solita preda è migrata lontano dalle pianure alluvionali. Le temperature dell’aria più elevate in Australia hanno innescatocomportamenti più aggressivi nei serpenti marroni orientali, portando a più incidenti di morsi di serpente. Gli incendi a Sumatra, in Indonesia, innescati da El Nino,hanno spinto elefanti e tigri asiatici fuori dalle riserve e nelle aree abitate dall’uomo, provocando almeno un decesso. L’interruzione delle reti alimentari terrestri durante gli eventi di La Nina nelle Americheha spinto gli orsi neri nel New Mexico e le volpi in Cile negli insediamenti umaniin cerca di cibo. Le temperature più calde dell’aria e dell’oceano in un grave El Nino hanno portato a unaumento degli attacchi di squali in Sud Africa. Lo studio ha preso in esame 49 casi di interazione arrivando a stabilire che nell’80% per cento degli incontri i fattori scatenanti erano l’aumento delle temperature e le piogge improvvise. Comeha dichiarato l’autrice Briana Abrahms, assistente professore di biologia dell’University of Washington: «Abbiamo trovato prove di conflitti tra le persone e la fauna selvatica esacerbati dai cambiamenti climatici in sei continenti, in cinque diversi oceani, nei sistemi terrestri, nei sistemi marini, nei sistemi di acqua dolce, coinvolgendo mammiferi, rettili, uccelli, pesci e persino invertebrati. […] Sebbene ogni singolo caso abbia la sua gamma di cause ed effetti diversi,questi conflitti guidati dal clima sono davvero onnipresenti». Dunque, stando alle risposte della scienza,gli incontri con i selvatici non possono che aumentare. Ciò che preoccupa, ovviamente, è il modo con cui l’umanità tende a rispondere,ossia la rimozione dell’animale. L’uccisione degli animali non umani che hanno interagito in scontri con esseri umani viene stabilita previa attribuzione di pericolosità dell’animale stesso. Infatti, se l’individuo in questione, poniamo il caso di un cinghiale, ha causato lesioni a un essere umano, viene immediatamente etichettato come aggressivo e viene, quindi, considerato una minaccia. L’uccisione di questi animali è una forma di espulsione e cancellazione. Infatti, invece che analizzare le ragioni alla base del contatto e comprendere che i selvaticinon hanno necessariamente comportamenti compatibili con la presenza umana- che per loro rappresenta una minaccia – l’umanità si limita a sopprimere la bestia dando l’ennesimo contributo al degrado dell’ambiente. Infatti, la varietà e la variabilità di viventi è ciò che mantiene sano e vitale un ecosistema.Gli interventi umani hanno eroso questa preziosa ricchezza biologicain nome dell’estrazione di capitale e dell’occupazione della Terra. Dunque, invece di chiudere un percorso e tutelare quel poco di fauna rimasta, le autorità chiamano all’uccisione degli animali e si evitano di affrontare, per l’ennesima volta, il vero problema.Il conflitto nasce dalla disuguaglianza, e chiaramente in termini di distruzione ambientale gli animali non umani sono vittime assolute. Le loro azioni sono il frutto del desiderio di sopravvivenza, della necessità di trovare ciò che gli è necessario per vivere. La loro presenza però, è anche testimonianza di un ambiente talmente rovinato da essere sempre più invivibile. Il linguaggio animale però viene ignorato, spento a colpi di fucile.
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