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L’intelligenza artificiale fuor di metafora

 

Le conseguenze della tecnologiasono sempre più complesse. L’interpretazione di quelle conseguenzerichiede una mente aperta, pragmatica, costruttiva. La regolamentazione dell’intelligenza artificiale, per esempio, la sua applicazione nelle attività economiche, nell’educazione e nella sanità, sono contesti nei quali la necessità dicomprendere la tecnologia più avanzata per poterne immaginare gli sviluppi e l’impattosi fa sempre più sentita. E non a caso, la società non cessa di discuterne in molte sedi. Quando la metafora prende il sopravvento sulla realtà nel contesto dello spettacolo, si ottiene undivertimento immersivoe untrasporto emotivo straordinario. Ma quando la metafora prende il sopravvento sulla realtà nel contesto dell’economia, o del diritto, si possono generare equivoci piuttosto veri e propri errori. La strada giusta per affrontare questo complesso problema si fonda su un approccio storicamente avvertito, per il quale le conseguenze della tecnologia si interpretano soltanto nel contesto delle dinamiche sociali, economiche, ideologiche, culturali, ecologiche. La tecnologia non è la protagonista di una narrazione decontestualizzata: non si comprende con lo storytelling, ma con la storia. E a questo proposito fa bene alla salute mentale la lettura del lavoro disincantato diAndrea Monti, giurista interessato da decenni agli sviluppi del rapporto tra tecnologia e società. Il suo nuovo libro èThe digital rights delusion. Humans, machines and the technology of information(Routledge 2023). Il suo capitolo sull’intelligenza artificiale parte proprio dalla decostruzione dellatentazione di considerare quella tecnologia come una sorta di entità, in grado di volere qualcosa, o comunque di avere una propria personalità. In effetti, come mostra anche il magistrale libro dello storico Simone Natale,Macchine ingannevoli. Comunicazione, tecnologia, intelligenza artificiale(Einaudi 2022), la struttura dell’automazione cognitiva è progettata proprio per simulare una capacità di interazione tra umani e macchine, con la conseguenza che in qualche modo le macchine ingannano gli umani e appaiono come veri e propri interlocutori. Per Monti questa premessa è necessaria per abbandonare il tentativo di attribuire a una legislazione speciale il governo della tecnologia e per suggerire che la strada maestra sia l’applicazione delle normative esistenti anche alle questioni relative l’intelligenza artificiale. Questo, suggerisce Monti, deve condurre il sistema giudiziario a impegnarsi per comprendere la tecnologia,deve generare un avanzamento nella cultura giuridica, ma è la strada per portare le controversie e i timori relativi all’intelligenza artificiale all’interno di un contesto analitico e pragmatico che tenga conto delle esigenze delle comunità che subiscono l’impatto dell’avanzamento tecnologico più che della volontà verticistica dei governanti. Tutto questo appare profondamente realistico. Può sembrare controintuitivo, ma in effetti alla Commissione europea condividono la preoccupazione di non esagerare con le normative specifiche per il digitale. Il punto probabilmente è che il quadro interpretativo generale delle normative sul digitale era segnato dall’impostazione decisa negli Stati Uniti alla metà degli anni Novanta che aveva stabilito l’irresponsabilità delle piattaforme rispetto al comportamento degli utenti. L’eccesso di confidenza nell’autoregolamentazione del mercato ha prodotto alcuni mostri. Le cosiddetteBig Tech, le grandi compagnie digitali, hanno un potere immenso sulla generazione di regole di comportamento nelle società occidentali.E ogni grande potere, in democrazia, deve trovare un bilanciamento. La ricerca dei giusti modi per bilanciare quel potere è diventata una delle storie politiche più importanti di questa complessa contemporaneità.

Redazione

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