Un team di ingegneri dellaBritish Columbia University(Canada) ha messo a punto un metodo per eliminare gliPfasdall’acqua potabile in maniera definitiva. Conosciuti anche come “forever chemicals”, le polifluoroalchiliche sono una classe di sostanze dannose, ancora molto diffuse. Negli ultimi settanta anni, sono stati utilizzati indiverse attività industriali. Dalla concia delle pelli, alla produzione di capi ignifughi o di abbagliamento tecnico, fino alla produzione di utensili antiaderenti; ma anche per quella di tappeti, carta, cartone, spray antimacchia, cosmetici e contenitori alimentari. Numerosi studi hanno però dimostrato chel’esposizione a tali agenti chimici provoca cancro, disturbi nell’apprendimento e nel comportamento, o addirittura infertilità e altre patologie. Si attaccano infatti alle proteine del sanguee, all’aumentare dell’età, cresce anche la loro pericolosità, secondo gli scienziati. Nonostante le campagne di informazioni e le regolamentazioni, come quella recentemente al vaglio dell’Unione europea per bandirne 10.000 dal mercato, eliminare il contatto con i “forever chemicals” è molto difficile. Hanno infatti una degradabilità quasi nulla, sono incredibilmente persistenti e tendono ad accumularsi nell’acqua, nel terreno e, di conseguenza, entrano anche nella catena alimentare. Addirittura, alcuni degli Pfas prodotti negli anni ‘40, secondo le stime, non si sono ancora decomposti. Grazie agli scienziati della British Columbia University questo potrà cambiare. La ricerca, guidata dal professor Madjid Mohseni, è stata pubblicata sulla rivista scientificaChemosphere. Il suo obiettivo era dimostrare la validità di un nuovo processo, basato su unmateriale assorbente innovativo, composto da silicati, capace di catturare e trattenere una quantità molto grande di inquinanti dispersi nella rete idrica. In una fase successiva, questi vengono distrutti, spezzando i loro legami chimici, mediante tecniche che sfruttano l’elettrochimica e la fotochimica. Non è il primo metodo sperimentato per il trattamento delle acque e la distruzione degli Pfas. Da alcuni anni si sta provando l’efficacia di quelli alcarbone attivo, utilizzati anche nei filtri domestici per l’acqua, o di quelli che si appoggiano allo scambio ionico. Secondo Mohseni, l’iter canadese sta fornendo risultati più convincenti. “I nostri supporti adsorbenticatturano fino al 99% delle particelle di Pfas– ha scritto il ricercatore suChemosphere– e possono anche essere rigenerati e potenzialmente riutilizzati”. Dunque, l’eliminazione dei “forever chemicals” non genera, come i filtri classici, “rifiuti solidi altamente tossici” da smaltire a loro volta con attenzione, per non danneggiare l’ambiente. L’attenzione del team dellaBritish Columbiaè concentrata, in particolare,sulle comunità rurali remote o indigeneche, troppo spesso,hanno approvvigionamenti idrici contaminati. A loro molto spesso mancano fondi per “l’implementazione di soluzioni più avanzate e costose che potrebbero catturare gli Pfas – spiega Mohseni – I nostri filtri possono anche essere utilizzati sotto forma di trattamenti idrici decentralizzati e in-home”. Al momento è già in atto un progetto pilota, per verificare la tenuta della tecnologia fuori dal laboratorio. Ad aprile ne sarà avviato un secondo nellaColumbia Britannica, al quale ne seguirà probabilmente un terzo in Quebec. Un’adozione diffusa, da parte della popolazione, sarà però difficile da ottenere, almeno a breve termine. Lo ha spiegato al quotidiano britannicoThe GuardianAmira Aker, ricercatrice post-dottorato presso l’Université Laval(Canada), esterna alla ricerca dellaBritish Columbia. “Le nuove tecnologie sono spesso costose o difficili da rendere scalabili” per un grande pubblico. “Anche se non lo sono, è comunque un inferno cercare di convincere le città ad adottarle”, ha detto. Anche per Mohseni solo un’azione politica decisa potrà favorire la messa al bando dei “forever chemicals” e l’implementazione di tecnologie per degradarli. “Un modo per risolvere questo problema è fare quello che abbiamo fatto – ha spiegat aThe Guardian- L’altro modo per risolvere questo problema, è che l’industria non usi più i prodotti chimici”.
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