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Chi è Andrea Rinaldo, vincitore del Nobel per l’acqua

 

Per la prima volta ilNobel per l’acquaparla italiano. E lo fa grazie al professoreAndrea Rinaldo. Classe 1954, veneziano, Rinaldo èordinario di Costruzioni idrauliche all’Università di Padovae direttore del laboratorio di ecoidrologia dellaScuola politecnica federale di Losanna. Il 23 agosto riceverà il prestigiosoStockholm Water Prizealla presenza del re Carlo XVI Gustavo di Svezia. Una procedura che è valsa a questo premio la fama di “Nobel per l’acqua”. Dal 1991, questo riconoscimento vieneassegnato a persone e organizzazioni per risultati straordinari legati all’acqua. Rinaldo è uno dei massimi studiosi dell’ecoidrologia, che indaga il rapporto tra l’acqua dei fiumi e le comunità vive, siano esse umane, animali o vegetali. Proprio i suoi studi gli sono valsi la vittoria del Nobel per l’acqua. «Appena ho saputo di aver vinto mi sono emozionato pensando ai miei predecessori con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Un pensiero speciale è andato aIgnacio Rodriguez-Iturbe, un caro amico che è venuto a mancare l’anno scorso», racconta il professore aLa Svolta. La sua passione per l’acqua parte da lontano ed è iniziata in un momento preciso: «Sono nato e cresciuto a Venezia. Nel 1966 ci fu una grande alluvione. Avevo 12 anni. L’acqua alta fu terribile.Ricordo ancora la sensazione di miseria che ci assalì. Per quasi un giorno si innalzò di oltre un metro e mezzo sul livello del mare, allagando tutta la città. Tanto da farci chiedere se Venezia sarebbe sopravvissuta». D’altronde il legame tra Venezia e lo studio dell’acqua è inscindibile. «Fin dalle sue origini la città ha chiesto consulenze ai più grandi esperti nella gestione delle acque. Molti arrivavano proprio dall’Università di Padova,prima al mondo a istituire una cattedra di idraulica», ricorda Rinaldo. Che aggiunge poi una postilla: «L’unico che si vide rifiutata la propria consulenza fuGalileo. Era troppo autorevole e la politica avrebbe dovuto sottostare troppo alle sue indicazioni». Anche gli esempi familiari hanno influito. Spiega sempre il professore: «Mio padre era ingegnere idraulico mentre mio nonno aveva un’azienda di costruzioni marittime». Senza dimenticare un compagno di viaggio inseparabile: il rugby. Rinaldo è stato nella nazionale di questo sport. «Sono l’azzurro numero 326», ricorda riconoscendo a questo sport di avergli lasciato molto oltre ai numeri: «Quello che si impara sul campo da rugby serve tanto anche nella scienza. Nel rugby a differenza del calcio si è in fuorigioco oltre la palla, non oltre l’ultimo uomo. Si corre di più. E questo significa che serve ancora più impegno per arrivare fino in fondo. Come nella ricerca». E di impegno ne serve ancora tanto. «Ora siamo concentrati suuno studio in Laosdove stiamo tentando di capire come si propaga l’Opisthorchis viverrini. Un patogeno che può arrivare a procurare cancri e che può infettare chi mangia pesce crudo in posti sbagliati», dice Rinaldo che durante la sua vita ha inseguito i segreti dell’acqua in giro per il mondo, facendo ricerche sul campo, tra gli altri, nell’Africa Subsahariana, nel Bangladesh e sull’isola di Haiti. Viaggi che portano il professore a mettere in guardia sull’importanza di capire la crucialità dell’acqua nel nostro mondo. «L’acqua è la prima fonte di vita. E quindi di ricchezza.Dobbiamo iniziare a porci il problema dell’equa gestione dell’acqua. Capire come gestirla, riducendo al minimo le disuguaglianze, sarà fondamentale anche in vista del cambiamento climatico». L’impegno c’è. La meta seguirà.

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