Lo vedevamo già aDavos. Tra le migliaia di ministri e imprenditori non c’era nessun esponente russo, ciliegina amara sulla torta delsoft-power esercitato da Europa e Stati Unitiper il Paese che un anno e un mese fa irrompeva con la forza in uno Stato libero come l’Ucraina, reclamandone di fatto il possesso. Lo scenario geoeconomico mondiale post Covid assiste un’ondata dipolitiche isolazioniste in Giappone e in Cina. Quest’ultima al Congresso nazionale del popolo – evento in cui si fissano gli obiettivi annuali di crescita – annuncia per il 2023 unacrescita di “a malapena” il 5%. Una scelta dettata dalla prudenza in una programmazione economica a medio periodo che ancora accusa gli scarsi risultati dell’anno scorso (con il +3% di Pil raggiunto, il dato più basso dagli anni ’70), frutto della dura politica zero Covid che ha portato allo stop di tutta l’economia cinese, in particolare per l’import-export. Nel frattempo, 48 miliardi di dollari appartenenti ai ricchissimi cinesi vengono traslocati dalla Cina continentale a tutto il resto dell’Asia, in particolare Singapore. L’isola-Stato – ex colonia britannica insieme a un’altra cassaforte per super ricchi come Hong Kong – fa gola a una stretta cerchia di miliardari cinesi che scappano dal loro Paeseper mettere in salvo le proprie ricchezze e se stessi. Fa scuola il caso di figure emblematiche del capitalismo cinese come l’Ad diAlibabaJack Ma o Cindy Mi, imprenditrice chiave dell’istruzione privata online: persone bandite dal Partito Comunista che, in attuazione di una ferrea politica anticorruzione,tenta di tenere sotto controllo lo sviluppo economicoe ridistribuisce i guadagni in eccesso delle grandi multinazionali cinese nel nome della prosperità comune. E proprio in quest’ottica,figure iconiche e miliardarie dell’imprenditoria privata cinese risultano scomodee vengono oscurate per far sì che non ci sia nessuna eccessiva concentrazione di patrimonio in poche singole persone. A livello di dipendenza economica del mondo capitalista occidentale, la Cina, che rimane laseconda economia mondiale, viene messa in secondo piano dal progresso tecnologico. Soprattutto dopo l’esperienza della pandemia, le imprese hanno capito quanto latecnologia sia un asset strategico, non tanto per gli impianti fisici e le attrezzature robotiche quando per i software e brevetti. Beni immateriali ma il cui valore cresce di pari passo con l’importanza che assume all’interno del business delle aziende. Ciò si traduce inmilioni di dollari investiti in programmi, brevettie una marea di professionalità tecniche edata analyst, spesa principale delle attività di ricerca e sviluppo delle multinazionali americane soprattutto nei Paesi con manodopera a basso costo. L’azienda produttrice di aeromobiliBoeingprevede di costruire strutture di ricerca e sviluppo da 200 milioni di dollari nella città indiana di Bangalore, sulla scia didelocalizzazioni milionariedi altri colossi americani comeAlphabet,AmazonoWalmart, che conta ben 25.000 specialisti tecnologici. La competenza tecnologica è una risorsa che conferisce enorme vantaggio competitivo alle industrie, specie se parliamo dei colossi dellaSilicon Valley, orfani di recente della loro banca regionale. La tempesta finanziaria generata dal caso Svb, istituto specializzato nel finanziamento alle start-up e società tecnologiche, è sicuramente figlia della politica monetaria aggressiva della Federal Reserve, che da mesi insieme alle altre banche centrali cerca di combattere la morsa dell’inflazione rialzando dei tassi di interesse. Ma un costante aumento dei tassi porta fra le conseguenze principali quella di svalutare le obbligazioni e i titoli di stato, strumenti finanziari su cui la Svp investiva principalmente, accusando dolorose perdite in portafoglio. Nello specifico, per fare fronte a una improvvisa corsa agli sportelli da parte dei suoi principali clienti, ossia imprese tecnologiche dellaSilicon Valleycon depositi milionari ritirati di colpo, la banca californiana ha cercato di reperire denaro vendendo sul mercato i suoi titoli di stato, comprati nel periodo in cui i tassi imposti dalle banche centrali gravitavano ancora sottozero, esponendoli a un mercato con tassi rialzati e con conseguente crollo dei prezzi dei titoli. A coprire le perdite di oltre due miliardi in un solo giorno è intervenuta la stessaFedper garantire tutti i depositi della banca, poiché, secondo la regolamentazione delle banche con attivi inferiori ai 250 milioni, i conti correnti potevano essere garantiti esclusivamente fino al 5%. I mercati speculano sulle future scelte dellaFed, se continuerà con una politica monetaria aggressiva o se passerà il volante alle colombe del proprio board. La scelta, effettivamente, non è delle più facili: da un lato il tentativo diriportare l’inflazione al 2%e difendere il potere d’acquisto dall’aumento dei prezzi dovuto alla guerra in Ucraina, dall’altro garantire la stabilità di una impalcatura finanziaria mondiale sempre più friabile – con un sistema bancario americano declassato daMoodyse prospettive di crescita negative – che teme l’arrivo della stagflazione (Pil stagnante e inflazione in crescita) insieme a tutto il mondo dei commerci globalizzati e al capitalismo stesso.
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