Diciamoci la verità e facciamolo tutto d’un fiato perché è una di quelle verità che potrebbe non piacerci:gli algoritmi di intelligenza artificiale controllano sempre di più le nostre viteo, meglio, ne consegnano il controllo ai loro padroni. Sono gli algoritmi, ormai, chedecidono cosa leggiamo online, cosa guardiamo in televisione, chemusicaascoltiamo e sono, sempre più di frequente loro che scelgono anchecosa compriamo, rendendoci destinatari di alcune pubblicità e non di altre, di alcune offerte commerciali e non di altre e proponendoci, nelle piattaforme e-commerce, prezzi diversi a seconda della nostra propensione all’acquisto di questo o quel prodotto. E, più banalmente, ormai, sono gli algoritmi anche a dirciche strada facciamo in auto, dove andiamo in vacanza, dove dormiamo in hotel e dove mangiamo a cena. Ci sono, persino, algoritmi che ormai decidono – o almeno ci provano – per noichi è la nostra anima gemellanei siti di dating online. Ovviamente senza voler parlare, perché il discorso sarebbe lungo, della più celebre delleintelligenze artificialidel momento,ChatGPT, che si sta trasformando nelpiù potente strumento di manipolazione di massadella coscienza collettiva e dell’opinione pubblica di tutti i tempi rispondendo sostanzialmente allo stesso modo, alle stesse domande che gli vengono proposte da centinaia di milioni – destinati a diventare presto miliardi – di persone, e producendo una quantità di contenuti probabilmente già oggi superiore rispetto a quella prodotta sin qui dall’umanità intera o, comunque, destinata a infrangere presto questa frontiera. Insomma che ci piaccia o no conviviamocon gli algoritmi e ne siamo controllati più di quanto la maggior parte di noi immagini.Anche quando ci sembra di decidere autonomamente, la realtà il più delle volte è chela scelta è tecno-orientata. Non ce ne siamo accorti perché, forse, fino a oggi siamo stati qui ad aspettare che le intelligenze artificiali scendessero sulla terra con sembianze marziane e dentro i dischi volanti che si vedono nei film di fantascienza. Ma, mentre noi stiamo ancora cercando di varare regole capaci di governare il fenomeno dell’intelligenza artificiale del quale i più parlano ancora al futuro,quello che doveva accadere è accadutoe siamo entrati nella società degli algoritmi e dell’algocrazia,nella quale loro comandano e noi eseguiamo. Conloro, naturalmente, si intendei padroni, pochi e più o meno sempre gli stessi. È in questo contesto che deve essere letta lasentenza con la quale il Tribunale di Padova, nelle scorse settimane, ha messo nero su bianco chela società titolare del marchio Despar deve assumere 15 persone, apparentemente alle dipendenze di un appaltatore terzo, ma in realtà, tecno-governati da un proprio algoritmo. La sentenza in questione – non la prima, per la verità, a conclamare che gli algoritmi possono essere i più duri dei caporali sul luogo di lavoro – fa suonare la sveglia eaccende, una volta di più,un faro su quello che sta succedendoe che succederà nel mondo occupazionale, se gli obiettivi di produttività ed efficienza da sempre cari al datore di lavoro sono perseguiti attraverso il ricorso a intelligenze artificiali guidate da algoritmi. La decisione si limita a fissare un principio pure indubbiamente importante e cioè chese una società utilizza un software per controllare passo passo l’attività lavorativa svolta da una o più persone, poco conta da chi queste persone appaiano dipendere,il vero datore di lavoro è chi le controlla, controllando l’algoritmo. Non poco e non male perché sbugiarda, con un colpo solo, decine di migliaia di datori dilavoroche, negli ultimi anni,pur di non assumere centinaia di migliaia di persone si sono fatti scudo di questo genere di soluzionie hanno lasciato che a dare istruzioni, direttive e indicazioni, al posto loro, fossero meccanismi più o meno evoluti di intelligenza artificiale. Ma, al tempo stesso, la sentenza tratteggia anche uno scenario nel quale, ormai,gli algoritmi sono entrati nel luogo di lavoroe se non saremo capaci di governarli in maniera tempestiva ed efficace, smantelleranno conquiste di dignità e civiltà ultracentenarie, riducendo le persone – come ha già scritto bene il sociologo Antonio Casilli – a “schiavi del click” attraverso un processo di progressivo appiattimento della gestione del personale in una dimensione esclusivamente efficientista e permettendo il ri-amplificarsi di intollerabili discriminazioni tra lavoratori. Non è facile governare algoritmiche ormai ci governano ma è una sfida che non possiamo perdere perché la posta in gioco, in una parola, è la nostra umanità.
«A nome dello Stato danese, a nome del Governo: mi dispiace». Con queste parole…
A poco più di un mese dagliStati Generali della Natalità, lasituazione demografica italiananon sembra…
Dall’Accordo all’azione: ricostruire la biodiversità”. È questo il tema scelto quest’anno per la Giornata…
Una donna muore ogni due minuti per complicanzelegate al parto e alla gravidanza. Lo…
Dall’11 novembre al 7 maggio 2023,Palazzo Albergati a Bolognaospita la mostraJago, Banksy, TvBoy e…
La semplice diversificazione delle importazioni dicombustibili fossiliper liberarsi dalla dipendenza russa - che garantisce…