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Quando la moda africana denuncia l’usa e getta del Nord del Mondo

 

Pile di jeans, maglie con slogan delle elezioni o di importanti eventi sportivi. O ancora una scarpa con il tacco senza la compagna e sandali di finta pelle consumati. Sono questi, in genere, i prodotti venduti nei mercati come quello ghanese diKantamanto ad Accra. Una nuova corrente di stilisti e designer africani sta cercando di trasformarli da scarti della moda occidentale in abiti nuovi, che denuncino la culturadell’usa e getta. La maggior parte dei vestiti che i consumatori mettono nei cestini delle donazioni non vanno alle organizzazioni di beneficienza. Spesso rischiano di finire nelle discariche di tutto il mondo. Da decenni enormi quantità di vecchi indumenti arrivano in Stati comeGhana, Kenya e Uganda, per essere rivenduti nei mercati locali. Questo business è molto redditizio e impiega migliaia di persone: nel 2021 ammontava a211 milioni di dollariil valore degli abiti esportati solo ad Accra. Nel corso del tempo queste importazioni hanno danneggiato molte industrie tessili. Inoltre la qualità dei vestiti è peggiorata con la crescita dellafast fashion. In Ghana i vestiti ora vengono lavati sulle spiagge, esacerbando il problema da inquinamento da microplastiche, causato dalla dispersione dei tessuti sintetici. Almeno il 40% degli indumenti comprati dal Paese, secondo l’organizzazione no-profitOr Foundation, finisce in discarica. Per i giovani designer comeYayra Agbofah, fondatore dello studioThe Revival, questo non è più accettabile. Ogni giorno visita il mercato diKantamantoper recuperare dagli scarti nuovo materiale per le sue creazioni. Le sue borse, vendute nel negozio delVictoria and Albert Museum di Londra, sono realizzate con denim riciclate e hanno lanciato una nuova moda, con un significato anche politico ed ecologico. Anche lineaBoie & Billdel designer ghaneseElisha Ofori Bamfomira a creare una firma forte, usando capi rigenerati. L’etichetta incorpora stampe africane e colori audaci: a esempio, la giacca Blackstar Bomber replica la bandiera del Ghana. L’artista disciplinareSel Kofigainvece sta promuovendo, con il suoSlum Studiocon sede ad Accra, una collezione limitata di camicie e pantaloni colorati dipinti a mano con tessuti usati. Gli indumenti mostrano scene astratte dei mercati e sono stati indossati da celebrità ghanesi tra cui il musicista Pure Akan. Anche lo stilista ugandeseBobby Kolade, fondatore e direttore creativo diBuzigahill, a Kampala, ha lanciato una collezione di quattro capi unici, che provengono da vecchi vestiti rigenerati. Il suo obiettivo finale è quello di creare unafiliera sostenibilee assumere il maggior numero possibile di ugandesi. Il messaggio creativo e di denuncia è contenuto nel titolo:“Return to Sender” (“Restituisci al mittente”), ossia il Nord del mondo.Ipantaloni della tuta patchwork a blocchi di colore e giacche di jeans sfilacciate oversize,sono venduti in tutto il mondo attraverso una piattaforma online. I prezzi arrivano anche a180 dollari. Anche in Sudafrica arriva una grossa mole dei vestiti scartati da Stati Uniti, Europa e Cina, nonostante il Governo abbia ridotto le importazioni. Il marchioMami Wataha recentemente lanciato una collezione di maglioni riutilizzati, in collaborazione con il mercato vintage3Thrifty5. La prima consegna ha fatto il tutto esaurito. L’idea è, ancora una volta, rimandare i vestiti usati a coloro che, per primi, se ne sono liberati. Alcune felpe sono decorate con frecce, aerei di ritorno e con scritte che recitano “Afrique Amérique”(Africa – America) in francese, la lingua ufficiale di 21 Paesi africani.

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