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Più follower, più libri

 

Scriverelibridifficilmente diventa un lavoro.Succede a poche persone, dal talento straordinario. Sempre più spesso, però, non si tratta più di cosa venga scritto e come, ma diquanto sia vendibile. Nelle librerie, in particolare in quelle della grande distribuzione,si perde facilmente il conto del numero delle opere simili.Quelle che una volta erano collane, ora sono riproduzioni fedeli del libro apripista che ha inaugurato una forma narrativa con canoni precisi e facilmente riproducibili. Verrebbe da pensare che, una volta trovata la formula vincente, questa sia stata riproposta per incontrare sia la natura dell’editoria(quindi la varietà) che la trasformazione della stessa da agenzia culturale amercato. Un mercato che tutti sappiamo essere in crisi, non solo perché (stando ai datiIstat)solo il 41,6% della popolazione sopra i 6 anni ha letto almeno un libro all’anno, ma anche per leimpennate dei prezzi di produzione. La carta costa e scarseggia, va prenotata in anticipo e nella giusta quantità. L’editoria si intreccia qui alla produzione di una materia essenziale, che continua a richiederelavorazioni dispendiose in termini ecologici. La carta riciclata, a esempio, costa molto più di quella vergine. E sebbene quasi ogni stampa arrivi con ilmarchio fsc, possiamo serenamente dire che non è abbastanza per ridurne l’impatto. Certo, accorpare le colpe della crisi climatica all’industria che consente la produzione e la spedizione dei libri sarebbe tristemente miope, soprattutto visto l’impatto delle altre industrie (fossile e agribusiness carnista in testa). Il punto, però, è che all’aumentare dei costi, aumentano anche i processi pericolosi che rischiano diinfarcire l’offerta editoriale di prodotti, non di libri,trasformando così la proposta culturale nell’ennesima compravendita votata all’iperconsumo. Non tutte le collane vengono per nuoceree anche nelle produzioni più “standardizzate creativamente” riescono a emergere delle gemme di stile e di racconto. Perché lascritturaancora può: saresisteree infiltrarsi nelle maglie sempre più strette del consumo, in cui tutto viene sublimato al guadagno, comprese una buona penna e una buona storia. Laletteraturaresiste,si impone sugli scaffali con non poca fatica e riesce a far esordire persino qualche connazionale di talento nonostante la tendenza sia ormai quella dipubblicare titoli che hanno già avuto un buon esordio all’estero. Talento, questo è il problema. In una cultura sociale, in cui tutto è subordinato al test dei talent show, che di fatto verificano la portata e l’effetto sul pubblico, una procedura creativa e complessa come lascrittura è difficile da testare. Ed ecco cheentrano in gioco isocialche, con il loro sistema classista digitale,riescono a dare prestigio ad alcune persone:un’esposizione che si rintraccia facilmente nella proposta della creazione, da zero, di un libro da vendere ai follower o alle persone connesse al giro di amicizie social dell’influencer. Di nuovo, anche in questo caso,riescono a trovare spazio voci straordinarie e preziose,che trattano i libri con la giusta dose di gioia e devozione. C’è però il rovescio della medaglia, ovvero lacreazione dei libri-prodotto, nuovo gadget brandizzato e nulla più per chi è in cerca di spunta blu di verifica o di un nuovo prodotto da vendere. Il marketing “social” editoriale riprende lastruttura elitistadella prima editoria, quella che era abitata solo da chiaveva effettivamente tempo per scriveree conoscenze per trovare terreno fertile per la stampa. Ora, l’elitismo si propone nella dimensione della produzione culturale,forte di numeri(troppo spessogonfiati) e della pubblicità garantita dalla copertura dei social. Di nuovo,ridurre tutto a un problema dimediasarebbe ridicolo.Le librerie, infatti, sono piene da decenni di testi pensati in funzione del nome che avrebbe occupato la copertina. Mi ricordo ancora l’anno in cui uscì il primo libro di barzellette su Totti, scritto da Francesco Totti. O ancora: rabbrividisco se penso alle pile di carta stampata per vendere il libro di attori che “sposano la causa green”, senza mai scendere in piazza a telecamere spente, farsi 2 domande sulla bistecca che mangiano o sull’impatto delle industrie con cui collaborano. Di recente ho letto che illibro firmato dal Principe Harryescritto da J. R. Moehringerha venduto circa 3,2 milioni di copie: un numero che si può certamente attribuire allafame di pettegolezzisulla madre del duca di Sussex,Diana Spencer, ma che ci rivela molto di più. Finalmente, si parla dellascrittura fantasma, quella per cui un professionista vienepagato per scrivere un libro che sarà firmato da altri,possibilmentefamosi, pervendere direttamente al loro bacino di ammiratori.Un lavoro che non sorprende scoprire essere il prodotto dell’ingegno di uno spin doctor, un professionista esperto nell’elaborare la strategia comunicativa di politici e persone con un’immagine pubblica. Con questa consapevolezza, possiamo osservare gli scaffali e strizzare gli occhi e chiederciquanti deilibriin offerta siano stati prodotti a tavolinosenza che l’autore o l’autrice abbiano nemmeno mai pensato a prendere in mano lapenna. L’iperconsumo non conosce tregua e non la offre nemmeno a chi, per vocazione o per mestiere, dovrebbe provare a proteggere i libri. Anzi, l’idea che tutto sia mercificabile (più tristemente, che debba esserlo) sta ampliando il mercato deilibri “famosi” prima ancora di essere pubblicati.Persone che, pur non avendo storie da inventare o da raccontare, si rintracciano nelle ricerche di Google come autori e che popolano i piani di lavorazione e pubblicazione delle case editrici, il cui fatturato inizia a essere sempre più connesso alpubblico fidelizzato degli pseudo-autori. Nel 2021, sempre secondo le rilevazioniIstat, sono aumentati dell’11,1% rispetto all’anno precedente i titoli pubblicati, ma anche le tirature. Sempre più spessosi scrive per vendere e non perché scrivere abbia un valore in sé.Che sia politico, narrativo o divulgativo, il fine della scrittura dovrebbe essere ben lontano dalla produzione di qualcosa da vendere al pari della capsule collection della persona famosa di moda in quel momento. Per fortuna, però, nulla è perduto. Orain mano tengo in libro di una persona che nemmeno haInstagram,e mi sembra davvero meraviglioso chela sua voce sia arrivata fino a mesenza che la sua cassa di risonanza fosse stata già testata in base numerica. Nel mentre, un’amica carissima e brillante, che sui social è un portento, sta lavorando a un libro altrettanto meraviglioso, che non vedo l’ora di incrociare sugli scaffali delle mie librerie preferite. Ne ho un’altra, dall’intelligenza disarmante, che presto sgancerà un testo portentoso capace di cambiare la vita alle persone, e quasi sento che non se ne rende conto. E so che le loro saranno aggiunte potenti alle mensole di libraie e librai, di lettrici e lettori. La capitalizzazione della letteratura è una realtà, ma finché laresistenza su cartac’è e non demorde abbiamo ancora una speranza. Quella di leggere o ascoltare un libro che abbia davvero tutto quello che la sua sola esistenza promette.

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