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Skinny, midsize, plus: quando le categorie escludono

 

Taglia 38, taglia 46;troppo magra, troppo grassa. Un tempo lemodelle curvynon potevano metter piede sulle passerelle perché i brand richiedevano solo un certo tipo di “magrezza” per le proprie sfilate. Per fortuna oggi non è più così:i canoni di bellezza(qualunque essi siano)sono cambiati,anche grazie aisocial network. E così, per le modelle avere “una taglia in più” non è un fattore discriminante, nella maggior parte dei casi. Prendiamo come esempioAshley Graham, che mostra fiera il suo corpo su Instagramportando alta la bandiera dellabody positivity;oppure,Paloma ElsesserePrecious Lee. Ma invece le altre,quelle che stanno nel mezzo? Loro sono lemidsize models, le cosiddettetaglie medie(una 44 italiana o una M): troppo piccole per essere curvy, troppo “grasse” per essere etichettate come “magre”. E se un tempo erano le plus size a essereescluse dallepasserelle, oggi sembra toccare proprio alle midsize. Sembra quasi un controsenso o, peggio, un eccesso di categorizzazione:o solo skinny o solo curvy.Alcuni potrebbero dire addirittura un’esagerazione. Eppure,come spiega Alexandra van Houtte, Chief Executive diTagwalk(il“motore di ricerca della moda”dove gli utenti possono trovare tantissime immagini semplicemente selezionando come keywords brand, città o stagioni), sulla piattaforma ci sono 83 tags collegati alle modelle curvy ma solo3 per le midsize:Celina Ralph,Ajok DaingeJill Kortleve. Quindi, dopo aver fatto – finalmente – il grande passo in avanti verso l’inclusione delle plus size, ora il mondo della moda sta facendo un passo indietro? Com’è possibile, infatti,rappresentare la varietà dei corpi delle donnese sulle passerelle esistono solo le loro versioni skinny o curvy? Secondo Renee Engeln, direttrice delBody and Media LaballaNorthwestern University, «Il mondo della moda femminile è inaccessibile a molte tipologie di corpima non perché non capiamo quanto grande o piccola sia la “donna media” (tipica, comune, più diffusa,ndr) È perché i principali attori del settore scelgono ancora diescludere le donne i cui corpi non rispecchiano la brand imageche vogliono coltivare». E, soprattutto,su cui vogliono investiree guadagnare. La fiera dell’inclusion washing Possiamo, quindi, parlare davvero diinclusività dei corpi? Quando facciamo riferimento alleplus sizeci sono 2 elementi discriminatori fondamentali:prezzi più altieminor disponibilità di taglie. Nel 2018 il marchio britannicoNew Lookè stato accusato di aver imposto unafat tax, vendendo i capi plus size al 15% in più rispetto agli stessi abiti delle taglie “più piccole”: «Far pagare di più per degli abiti plus size è offensivoperché stai dando priorità alle acquirenti dalle taglie small. Cosa c’è di equo in tutto ciò?»,ha dichiarato allaBbcAisha Fairclough, Co-founder dell’organizzazioneBody Confidence Canada. Poi c’è la questione dellareperibilità delle taglie. Spesso i brand mettono a disposizione una quantità limitata di capi per la sezione curvy: «Taglie inclusive significa che tutti i corpi sono considerati – ha spiegato Fairclough – Invece, sembra che i designer prendano un numero che pensano sia grande abbastanza per includere le plus size e poi si fermano». E così, parte la fiera delle sfilate e degli outfit escludenti: o solo per donne di piccole taglie o solo per le plus size. Nessuna via di mezzo. Che poi,quali sono davvero questi corpi curvy?I brand li rispecchiano tutti? Anche in questo caso,rappresentare solo alcune taglienella categoria curvy èinclusion washing. Secondo Thomaï Serdari, professoressa di marketing allaNew York’s University Leonard N Stern School of Business,i consumatori ritengono offensivi(«uno schiaffo in faccia») i lanci dicollezioni plusche includono solo le taglie più piccole della categoria, dando l’impressione che in realtà i marchi stiano soltanto cercando di conquistare una fetta di mercato senza curarsi davvero delle persone. Le midsize non sono donne curvy più magre Tornando allemidsize models, in realtà loro non sono completamente escluse dalle passerelle internazionali, ma sicuramente non sono le più numerose (la maggioranza rimangono comunque le skinny).«Solo una o due modellecurvy o midsize per shownon riflettono un cambiamentosignificativo o una vera inclusività. Èsimbolismo, soprattutto se qualsiasi taglia diversa davanti a una telecamera poi non si traduce in una disponibilità nei negozi», ha dichiarato Mina White dell’agenziaIMG Models(di cui fa parte anche Jill Kortleve). E se, per risolvere il problema, considerassimo lemidsize come curvy? Sarebbe sbagliato e per diversi motivi. In primis (forse è scontato dirlo, forse no) perché ogni corpo è diverso a modo suo e nessuno dovrebbe essere etichettato come qualcosa che non è; ma, motivo ancor più importante, perché ciòsvaluterebbe le lotte che le modelle plus size hanno portato avantinegli anni per farsi accettare sulle passerelle. «Io chiaramente non sono una modella plus size – ha detto Kortleve alNew York Times- e inserirmi in quella categoria spazza via tutte le esperienze che le mie colleghe hanno vissuto, come non trovare le loro taglie nei negozi che è qualcosa che a me non mai successo.Non voglio essere categorizzata con nessuna etichetta,magra o midsize o plus o qualsiasi altra». Le midsize alla conquista dei social Se cerchi su Instagram l’hashtag midsizetroverai ben 419.000 post, mentre suTikToksi sta creando un vero è propriomovimento. Come riporta il quotidiano statunitense, le utenti che si identificano come donne dalle taglie mediecreano e condividono contenuti:provano abiti firmati da brand midsize friendly o ricreano outfit che non possono acquistare, oppure offrono consigli su come scegliere e abbinare i vari capi per valorizzare il proprio corpo. Non mancano poi video in cui si analizza il tema delmarketinggrassofobico. Non è tutto bianco o nero «Molti marchi si sono aperti e sono diventati più inclusivi.Io ho faticato per entrare in abiti con taglie campioni ma ho nemmeno indossato le taglie curvy.La midsize apre le porte alle persone che non rientrano in nessuna di queste categorie (…) Ciò non significa che le modelle skinny non debbano far parte dell’industria.Non è unaut aut».Sara Ghazanfareeon. «L’industria della moda può amare gli estremi, male taglie che ci sono nel mezzo sono quelle che vedi di più quando passeggi per la strada(…) È importante avere tutte le forme corporee rappresentate nel mondo della moda e sapere che le persone non stanno mettendo a rischio la propria salute per adattarsi a un modello.Tutte le donne dovrebbero vedersi rappresentatee pensare di essere considerate belle».Nina Uhl. Queste sono le testimonianze di 2 modelle,riportate dal britannicoYou Magazine,che sottolineano un concetto molto importante, forse spesso sottovalutato. Magra, grassa, “media”,etichettare non serve a nullase non a far sentire le persone piùinsicure riguardo i propri corpi. Un concetto che però molti brand di lusso sembrano non aver ancora colto. Lo facciamo questo passo in avanti?

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