Nel 2009 l’Istituto per la salute globale dellaUniversity College Londondescriveva il cambiamento climatico come “potenzialmente la più grande minaccia per la salute globale nel ventunesimo secolo”, con effetti negativi sulla salute fisica e non solo. Infatti, da alcuni anni ormai, molti studi tentano di definire al meglio le relazioni fra cambiamenti climatici e salute mentale. È in questo quadro di ricerca scientifica che termini come “eco-ansia” hanno iniziato a far capolino. Attualmente, questa espressione viene definita come “la paura cronica della rovina ambientale” o ancora “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”. Grazie a queste ricerche, la preoccupazione di moltissime persone che vedono nei cambiamenti climatici una reale minaccia per il proprio futuro, ha finalmente un nome. Tuttavia, l’aumento di temperatura globale, di umidità e gli eventi meteorologici estremi rappresentano una nuova costellazione di rischi per i disturbi mentali comuni che non sono ancora stati indagati a fondo, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Un gruppo di ricercatori dellaGeorgetown Universitye dellaGeorge Washington Universityha cercato di colmare proprio questa lacuna, pubblicando recentemente suThe LancetPlanetary Healthunostudio condotto in Bangladesh. IlGlobal Climate Risk Indexha classificato il Bangladesh come il settimo Paese più vulnerabile al mondo relativamente ai cambiamenti climatici. La popolazione è costretta, ormai da anni, ad affrontare fenomeni estremi come il ciclone tropicale Sitrang, che il 24 ottobre 2022 ha provocato la morte di almeno 35 persone e più di 1 milione di sfollati. In quell’occasione, nella capitale Dhaka sono stati registrati434 millimetri di pioggia in 48 ore, una quantità cinque volte maggiore rispetto alle precipitazioni medie del mese di ottobre. Eventi come questo rendono sempre più necessaria l’adozione dimisure di mitigazione e adattamento, non solo da un punto di vista economico ma anche per prevenire e contenere gli effetti del riscaldamento globale sulla salute mentale. I risultati riportati suThe Lancet Planetary Healthmostrano una prevalenza complessiva, nella popolazione bangladese,del 16,3% per la depressione e livelli di ansia del 6%: dati notevolmente superiori alle stime proposte dall’Oms nel 2017 che indicavano una prevalenza, a livello globale, di depressione del 4,4% e di ansia del 3,6%. L’esposizione al peggioramento delle inondazioni, legate al cambiamento climatico, nella regione è stata attribuita a un aumento delle probabilità di tutte le condizioni: depressione del 31%, ansia del 69% e presenza di entrambe dell’87%. La relazione, riscontrata nello studio, tra cambiamenti climatici e disturbi mentali rappresenta un campanello d’allarme per popolazioni come quella del Bangladesh, la cui disponibilità di risorse per l’assistenza alla salute mentale è molto bassa. Come indicato dallo studio, nel 2021,il numero di psichiatri era di 1 su 625.000 abitanti mentre il numero di psicologi era di 1 su circa 294.000 abitanti. Tendenzialmente, i Paesi che soffrono maggiormente gli impatti del cambiamento climatico sono quelli che hanno contribuito di meno alla genesi del fenomeno. Le future generazioni rischiano, quindi, non solamente di vivere in condizioni ambientali peggiori delle nostre ma anche di affrontare effetti sulla salute mentale sempre più pesanti. La situazione descritta per il Bangladesh potrebbe sembrarci lontana, ma in realtà ci coinvolge molto più di quello che potremmo pensare. La regione in cui viviamo, il Mediterraneo, rappresenta infatti un hotspot per i cambiamenti climatici ovvero una di quelle zone in cui le conseguenze del riscaldamento globale saranno più severe. Per questo è prioritario discutere degli impatti dei cambiamenti climatici anche sulla nostra salute mentale, per capire in che modo sviluppare interventi e offrire servizi mirati, non solamente per noi ma anche per tutte quelle comunità che sono più a rischio.
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