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Matrimoni forzati: fuggire (non) renderà libere

 

“Vai e non tornare più”.È la frase che si sente direFatimadalla sua professoressa subito dopo la discussione della sua tesi di laurea triennale. La stessa professoressa che l’aiuta ascappare da una vita che la giovane donna non sente più sua, una vita prestabilita e confezionata da altri. Da suo padre, dalla sua famiglia, dalla sua religione, dagli usi e costumi del suo Paese di origine. Anche se Fatima si sente profondamente italiana. Una vita che prevede unmatrimoniocon un suo cugino,al quale non serve tanto una compagna di vita o una moglie, ma una sorta diserva-schivache si prenda cura di lui, della casa e dei suoi fratelli minori e che gligarantisca degli eredi. E così che vanno le cose nel posto da cui proviene Fatima e, anche selei vive, studia e si laurea in Italia,queste cose per la sua famiglia non contano assolutamente nulla. Per loro e per il futuro marito, la volontà di studiare e laurearsi della ragazza sono poco più che uncapriccio, una cosa da archiviare in fretta, così che poinon faccia storie con il matrimonio combinatoe con la vita che – davvero – la attende altrove. Eppure, succede qualcosa di brutto nella vita della ragazze, che lei non racconta a nessuno e che la spinge ascappare per sempreper non farsi ritrovare mai più. Che la spinge a diventare “un’altra”.Fatima non è neppure il suo vero nome:quello l’ha dovuto lasciare come buona parte della sua vecchia vita, come ha dovuto abbandonare la sua famiglia e la sua piccolissima sorella di cui sente una mancanza così forte da lacerarle l’anima. Ha scelto Fatima perché chi l’ha aiutata a cambiare vita e a nascondersi chiedeva che tutto si svolgesse velocemente e quello era un nome che a lei,la ragazza in fuga,non dispiaceva per nulla, anche perché le ricordava la sua migliore amica. E allora nuovo nome e via.Via da una prigione familiare e sociale, via da un matrimonio forzato, via da un destino segnato. Fatima, ora, con coraggio e sofferenza vive libera la sua nuova vita. Eppure, ancora oggi, se dovesse esprimere un desiderio, “chiederei di riavere il mio nome”. Almeno per un giorno. Nelle parole di Fatima è racchiuso l’intero senso delsaggio di Martina Castigliani(Libere. Il nostro NO ai matrimoni forzati,PaperFirst,17,00 euro, 180 pagine):adalcunedonnenon è concesso il “tutto”, la “normalità”che solitamente viene data alle altre. Quindidevono avere il coraggio di fare una scelta.E quando questo coraggio davvero arriva – e non capita a tutte – sono poi sempre loro a dover fare i conti con le conseguenze della loro scelta: con la nostalgia, con le riflessioni inutili del “perché proprio a me”, con i dubbi del “che cosa sarebbe davvero successo di così terribile se fossi restata?”. È umano, è ragionevole. Si fa la scelta della vita e si deve mettere in conto il fattore sofferenza. L’alternativa? Basta leggere le cronache quotidiane dove il femminicidio, ormai, sembra essere una semplice notizia tra le tante.Le donne muoiono per mano delle persone a loro più vicine.Il movente, sempre il solito: lalibertànegata. Castigliani, allora, in questo saggio – dove le illustrazioni di Elisabetta Ferrari sono parte integrante del racconto – decide che l’argomento è troppo complicato, troppo doloroso,troppo universale per trattarlo come semplice divulgazionee decide quindi didare la parola alle stesse protagoniste, che tra il coraggio e la disperazione hanno scelto di andare avanti nella vita. Sono 5 ragazze, 5 giovani donne che si sono ribellate aimatrimoni forzatie che per questo hanno dovuto lasciare la loro casa, rompere ogni rapporto con la famiglia e cambiare identità. Non conosceremo mai i loro veri nomi o qualunque altro dettaglio che possa renderle riconoscibili, perché per loro resta ancora pericoloso esporsi. Uno dei temi centrali dell’opera è il concetto dirinascita:una seconda vita intesa come una necessità, da raggiungere con sacrificio, forza e sofferenza. DomaniLiberesarà presentato allaCasa delle Donnedi Milano (ore 18:30); insieme all’autrice interverranno l’esperta di diritti delle donne diActionAidIsabella Orfano, l’attivista Tiziana Dal Pra – fondatrice dell’associazioneTrama di Terre- il regista e scrittore Wajahat Abbas Kazmi e Tahany Shahin, community trainer diActionAid.

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