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God is gender fluid

 

Nellareligione cristiana,in particolare in areaprotestante, è possibile trovare chiese che cercano di avvicinarsi e adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali, aprendosi anche realtà molto lontane e, a volte, in apertoconflitto con la tradizione biblica,come per il riconoscimento delle unioni omosessuali o il sacerdozio femminile. La chiesa metodista introdusse il ministero femminile già nel XVIII secolo e negli anni molte altre confessioni si sono aggiunte alla lista, consentendo alle donne di diventare ministre sacerdotali ed episcopali. È questo il caso della chiesa luterana, valdese e anglicana, solo per citarne alcune. Comunque, la tradizione cristiana assomiglia pericolosamente a un panel “tutti maschi”. Certo, qua e là nella Bibbia c’è il racconto di qualche donna straordinaria ma in generalela storia rimane in mano agliuomini. Maschi sono i patriarchi (per definizione), i re di Israele, i Profeti, gli Apostoli; maschio è Gesù e, naturalmente, Dio. Non lo si chiama forse “Padre”? Qualche teologo più progressista ha provato ad analizzare la questione delgenere di Dio,azzardando addirittura che possa essere femmina, o almeno avere sia gli attributi materni che paterni. Niente di particolarmente innovativo, dal momento che tra i tanti modi di definire Dio nella Bibbia c’è anche “madre”. «I cristiani già dai tempi antichi avevano compreso cheDio non è né maschio néfemmina-ha affermato unportavoce della Chiesa di Inghilterra -Il punto è che i diversi modi di chiamare Dio nelle scritturenon ha sempre trovato spazio nella liturgia».Una liturgia creata e definita dagli uomini, il che spinge a credere che la cristallizzazione di Dio in un essere maschile sia unfatto puramente culturale, e non necessariamente derivante dalla tradizione biblica. Finora tutte leproposte di riconoscere a Dio attributi femminilinon sono mai state considerate. Ma qualche giorno fa laChiesa d’Inghilterra(chiesa madre della comunioneAnglicana) ha dichiarato di star valutando la possibilità di introdurre termini addiritturasenza genere per riferirsi a Dio.La spinta è arrivata da alcuni sacerdoti che hanno riferito disentirsi a disagio nell’utilizzare il pronome maschileparlando di Dio e di voler introdurre un linguaggio più inclusivo nella liturgia. La Chiesa ha dunque annunciato che in primavera verràistituita una commissione per discutere l’argomento. Naturalmente il cambiamento, se avverrà, sarà lento dal momento che riguarderà larevisione di formule liturgichesedimentate nei secoli, e dovrà essere approvato dal sinodo dei vescovi, l’organo collegiale che rappresenta il vertice della chiesa. L’adattamento del linguaggio per avvicinarsi alla realtà, e dunque ai fedeli, non è comunque una novità. Già una ventina di anni falaChiesa d’Inghilterraaveva rivisto i suoi testiliturgici per modernizzarli e avvicinarli alla lingua parlata dalla gente, rimuovendo arcaismi ormai diventati quasi incomprensibili. La stessa Bibbia (anche in italiano) ha subito qualche cambiamento linguistico nelle traduzioni più recenti. Non mancano, ovviamente, i critici: chi ritiene che sia inammissibile dal punto di vista dottrinale smettere di chiamare Dio “Padre” e di riferirsi a lui (o meglio, ləi) con pronomi neutri. È importante sottolineare che offrire ufficialmente la possibilità diutilizzare termini non connotati dal punto di vista del generenon implicherebbe soltanto una maggiore inclusione dei fedeli, ma anche una maggior correttezza dal punto di vista teologico. Già nel 2018l’arcivescovodiCanterburyaveva affermato infatti che ogni modo di riferirsi a Dio deve essere in un certo grado metaforica dal momento che«Dio non è né maschio né femmina. Dio non è definibile».

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