In queste settimane si è parlato molto – finalmente – diviolenza ostetrica. Una serie di attività o atteggiamenti medici, inutilmente abusanti e non necessari, che colpiscono la donna al momento del parto e immediatamente dopo. Atteggiamenti fisici e verbali in grado di causare untrauma talmente profondoda dissuadere almeno un milione di donne (2 su 10) dall’avere altri figli, facendo nascerepaura e diffidenzaverso l’intero personale sanitario ginecologico e ostetrico. Ma molte donne, anche senza aver partorito, conoscono benela sensazione di essere toccate e trattate senza alcun tattoin molte situazioni che riguardano la salute femminile. La visita ginecologica, così come è concepita, può essere fonte di imbarazzo ma anche difastidio, dolore e disagio psicologico, spesso non necessari. Partendo dagli obsoleti strumenti utilizzati, dalla scarsa considerazione dellasoggettiva della soglia del dolore, fino ad arrivare ad atteggiamenti impropri del personale sanitario. Esperienze sgradevoli – se non addirittura traumatiche – legate alla prevenzione femminile, però, possonospingere le donne a evitare o ritardare visite, anche quelle necessarie e talvolta salvavita. Comportando, di fatto, una compressione del loro diritto alla salute. E se iniziassimo a parlare diviolenza ginecologica? E se uno degli strumenti più usati in ginecologia, lospeculum,fosse parte del problema? Ripensare la visita ginecologica Qualsiasi donna si sia sottoposta, nella vita, a un accertamento ginecologico conosce bene lasensazione di vulnerabilitàche la visita porta inevitabilmente con sé. A partire dallaposizione da assumere(con le gambe divaricate e i genitali esposti) passando per gli strumenti utilizzati (spessofreddi e metallici) arrivando fino allascarsa empatia del personale sanitario, che può sfociare in un comportamento aggressivo e abusante. Partiamo dai dati: sappiamo che moltissime donne non si sottopongono ai necessari screening diagnostici pertimore della visita ginecologica. Molte altre, dopo esperienze traumatiche pregresse,rifiutano di sottoporsi nuovamenteai controlli. Un’indagine diUnisalutedel 2022 ha evidenziato comesolo il 50% delle donne avesse effettuato una visita ginecologica nei 12 mesi precedentie il 30% delle donne tra i 30 e i 44 anni non avesse mai eseguito un pap test. Dati allarmanti che fanno preoccupare per illivello di prevenzione per malattie potenzialmente molto gravi, come il tumore della cervice, diagnosticabili solo a seguito di visita specialistica ed esami di riferimento. Possibile che le modalità con cui queste indagini vengono effettuatesiano inadeguateal punto da spingere le pazienti a rinunciarvi a rischio della propria salute? Si può considerare come cambiarle possafavorire un miglior rapporto medico-paziente? Uno degli elementi principali che interferiscono con la buona riuscita degli accertamenti ginecologici consiste nel fatto che in molti casila visita viene fatta in maniera brutale, senza tenere in considerazione l’aspetto psicologico a essa connesso. Seper il medico si tratta dell’ennesima paziente sull’ennesimo lettinopresa da una lista di nomi mensile chilometrica, per la donna specifica potrebbe trattarsi di un evento unico e temuto. Chiederle di sottoporsi all’esame in un ambiente caotico e inidoneo, a esempio in unastanza dove entrino ed escano diversi membri del personaleo con luci troppo forti, può essere controproducente. Così come non tener conto delpudore o del senso di vergogna soggettivo della paziente, spingendola a denudarsi e posizionarsi sul lettino in maniera frettolosa e sgarbata.Basterebbero delle accortezze minimeper mettere a proprio agio la paziente, senza farla sentire più esposta del dovuto e in condizioni accoglienti o rispettose della sua intimità. Quel che viene, poi, rimproverato al personale sanitario è lascarsa propensione al dialogoe alla richiesta di consenso per procedere ai vari step degli esami. Il tono e il linguaggio, utilizzati in presenza della paziente, dovrebbero spingerla a unapiena consapevolezza delle varie fasi della procedurasenza farla sentire violata o impreparata a eventuali esplorazioni intime. Se è vero che vi si sottopone volontariamente e previo consenso informato, non per questo si può pensare diagire sul suo corpo in maniera automatica e sbrigativa senza renderla partecipe di ciò che si sta praticando, del motivo per cui va fatto e lasciandole la possibilità di essere parte attiva e non passiva dell’intera procedura. Si dovrebbe spiegare chiaramente alla paziente cosa si sta facendo e chiedere alla stessa diesprimersi liberamente: a esempio dire se la procedura sta provocando fastidio o dolore eccessivi, se desidera procedere con più lentezza o se preferisce fermarsi anche una volta iniziato. La si può invitare a respirare e rilassarsi, facendo in tal modo di procedere meglio all’esame, masenza utilizzare modalità umilianti, riversando sulla paziente la responsabilità di eventuali problemi di tensione e dolore che rendano impraticabili le procedure. Si dovrebbe, insomma,passare dall’ormai superato “paternalismo medico”e realizzare una vera alleanza terapeutica tra il professionista e la paziente. Lospeculum: uno strumento inutilmente doloroso? Quando si parla di paura e dolore durante gli accertamenti ginecologici, uno degli aspetti più criticati èl’utilizzo dellospeculum.Questo strumento, risalente addirittura all’epoca dei romani, è rimasto pressoché identico per millenni, senza subire alcuna modifica sostanziale. Se in molti studi privati si trovano generalmentespeculummonouso in plastica, in molte strutture viene ancora utilizzato quello in metallo.Questo materiale non solo crea più attritocon la mucosa ma risulta freddo al tatto, portando le pareti vaginali a unacontrazione che è controproducenteper il suo stesso inserimento. Se per molte donne il mancato rilassamento delle pareti vaginali può provocare un semplice fastidio temporaneo, per molte altre (soprattutto se affette da determinate patologie come la vulvodinia) puòtradursi in dolore intenso, microlesionie difficoltà a portare a termine l’esame. L’utilizzo dellospeculumèparticolarmente doloroso per le donne che hanno l’utero “retroflesso”(o, più semplicemente, al contrario): una condizione che secondo le stime colpisce 1 donna su cinque ma che potrebbe essere più diffusa, fino al 30%. L’utilità dellospeculumper consentire alcune procedure, come il paptest, è indiscussa; quel che ci si chiede è se non sia possibile creareuno strumento che sia meno invasivo, studiando modelli e utilizzando materiali di nuova concezione. Negli Usa, Ceek Women’s Health ha disegnato unagamma diversificata dispeculumpensata per adattarsi ai diversi corpie alle esigenze diverse.Yona, invece, è un prototipo dispeculumdal design innovativo che permette una visualizzazione completa della cervice diminuendo il dolore e che – oltre a eliminare il rumore fastidioso dell’apertura – èrivestito in silicone, così da ridurre il freddo e rendere l’inserimento meno doloroso. Le proposte ci sono, ma negli studi medici si trova sempre il vecchio, temuto,speculum.Non stiamo parlando di forma, ma di sostanza: se unospeculummodernopuò evitare un inutile doloredurante la procedura di indagine ginecologica, perché non considerarlo? In questo modosi eliminerebbe una fonte di stress dell’esame, che spinge troppo spesso le donne a evitare o rimandare le visite compromettendo la propria stessa salute. Ancora, il dolore delle donne sembra non essere una variabile da considerare. Lospeculum“per vergini” Se lo speculum in sé (così come attualmente realizzato) viene già considerato uno strumento invasivo e fastidioso dalle pazienti, questo può caricarsi di un significato aggiuntivo se associato a un giudizio morale sul corpo della donna. Quel che poche persone sanno, infatti, è cheesistono diverse dimensioni dellospeculumginecologico,la più piccola delle quali viene definita “speculum per vergini” piuttosto che, semplicemente, “piccolo” o XS. Le pazienti vengono valutate idonee all’utilizzo di uno strumentoin base alla loro presunta assenza di attività sessualepiuttosto che per la loro condizione anatomica. Questo non fa cherenderle piùvulnerabili: sentirsi esposte, sul lettino ginecologico, e sentire richiedere unospeculum“per vergini” o “per non vergini” – con tutte le implicazioni morali che questa valutazione ancora comporta – inserisce una valutazione legata al contesto sociale, che lega la verginità alla sola integrità dell’imene escludendo qualsiasi forma di sesso non penetrativo. quando l’unica cosa che conta dovrebbe essere unavalutazione medico-scientifica.Anche questo è uno dei fattori che intimorisce le donne nel sottoporsi ad alcuni esami intimi. Considerato che il “test della verginità” basato sulla presenza dell’imene è ormai una pratica abominevole, che dovrebbe essere superata, sarebbe il caso di escludere qualsiasimenzione della “verginità” dal lessico del Sistema Sanitario Nazionale.Non sarebbe più semplice parlare solo di dimensioni? Diverse perché coerenti con la diversità anatomica di ogni corpo e non più legate a una valutazione etica di quello che quel corpo ha – o non ha – fatto.
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