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Sanremo, terza soirée: diritti e un po’ di stanchezza

 

La terza puntata del Festival di Sanremo ha registrato9 milioni 240.000 spettatori,con uno share di 57,6%. Co- conduttrice della serata,Paola Egonu:«Amo l’Italia, vesto con orgoglio quella maglia azzurra che per me è la più bella del mondo e ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo Paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani». Paola Egonu e il dovere di meritarsi l’italianità Succede una cosa strana agliitaliani di seconda generazione: dover ribadire quanto amino il nostro/loro Paese.Come se servisse per meritarselo – come se fosse necessario meritarselo – a differenza di italiani “più tradizionali”, che possono spesso fare e dire ciò che vogliono, senza che nessuno metta in dubbio l’amore per la natia patria. Nemmeno se e quando esprimono perplessità sullaCostituzioneo non conoscono l’inno nazionale. Paola Egonuinvece, nata a Cittadella (Padova) dagenitorinigeriani, questo privilegio non ce l’ha e la sua sorte – in campo come sul palco dell’Ariston – sembra essere quella didoversi giustificare. Sempre. E di chiedere scusa se a volte non ce la fa. Il monologo forse più atteso delFestival di Sanremo 2023,perché preceduto da una scia di polemiche politiche e non, ieri sera è alla fine arrivato e chi si aspettava una furia è rimasto sicuramente deluso. Lapallavolistapiù talentuosa d’Italia ma non solo – che vanta unaschiacciata da 120 km orari -ha buttato la palla dall’altra parte della rete. Sì, ma con garbo. Laparola razzismoche tutti immaginavano, perno del discorso, è rimasta velata ma questo non significa che il suomessaggiosia stato menopotente, anzi tutt’altro. «Da bambina ero fissata con i “perché”. Poi da grande mi chiedevo“perché mi sento diversa, perché la vivo come fosse una colpa?”. Ho capito chela mia diversità è la mia unicità. Io sono io. Siamo tutti uguali oltre le apparenze» ha ribadito, sottolineando la sua essenza che, proprio perché sua, non dovrebbe essere mai messa in discussione da nessuno e men che meno da chi crede che il colore della pelle faccia la differenza o da chi, come ha spiegato con un’efficace metafora, tra un bicchiere trasparente e uno colorato sceglie sempre il primo, convinto che l’acqua sia migliore. Tempi lunghi e nessun grande acuto Laterza seratadelFestivalè quasi sempre lameno interessantee, anche quest’anno, il trend si è confermato. Si sono esibiti tutti e 28 i cantanti in garae, onde evitare di terminare all’alba (ma “solo” alle 2:03), a parte l’evitabilissimo monologo di Alessandro Siania tarda notte, legag tra Fiorello e Amadeus -perfetto crossover tra palco e social – e la presunta ma poi smentitalitedietro le quinte – con tanto di lancio di bicchieri -tra Anna Oxa eMadame, non c’è stato molto spazio per altro. Lamusicafinalmente si è presa ilcentro della scenacome merita. A cominciare daiManeskin, tornati dove la loro inarrestabile ascesa è iniziata, con un’esibizione incredibile accompagnata da una delle leggende del rock, ilchitarrista deiRage Against the MachineTom Baptiste Morello. Amore, musica e guerra Poi è stata la volta delprotagonista annunciatoche si è preso l’Ariston e tutto il pubblico a casa:Marco Mengoni.Lastanding ovationriservatagli dal pubblico in sala sembragià averlo consegnato a una vittoriache, mai come quest’anno, è sembrata fin da subito scontata ma, al di là dei verdetti forse già scritti,il popolo dei social ieri è impazzito soprattutto per Tananaie la sua ballata romanticissima ma dallo sfondo sociale. Quella intonata, infatti, non è una storia d’amore qualsiasi ma larelazione tra un ragazzo e unaragazza ucraina, divisi dalla guerra e dai palazzi in fiamme ma uniti dal sentimento che li tiene in vita. Tantissimo zucchero insomma, come quello che traspare palesemente dagli sguardi deiComa Cose, che nella conferenza stampa del pomeriggio avevano rivelato che alla fine, dopo la crisi narrata dalla loro canzone,si sposeranno. Un lieto fine che tutti augurano anche agli innamorati sotto le bombe, nella speranza che presto possano riabbracciarsi e che, come ribadito anche daGianluca Grignanicon una camicia parlante come lo scialle diChiara Ferragni, tutto il mondo segua presto un unico comandamento:no war.

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