«A volte anch’io sparo cazzate ai quattro venti ma non lo faccio a spese dei contribuenti».Ritorno a Sanremo col botto perFedezche, dopo il famoso concerto del1 maggio 2021,si era tenuto debitamente a distanza dalla tv di Stato. Probabilmente anche per volere dei vertici che, forse, si erano convinti che alla fine, col passare del tempo, il suo ardore si fosse spento. Il ritorno di Fedez in Rai Mai valutazione fu più sbagliata visto che quella che doveva essere un’esibizione marginale sulla naveCosta,sponsor della kermesse, si è trasformata nell’evento più commentato della serata,che a onor del vero è stata decisamentesoporiferarispetto a quella d’esordio. Grazie dunqueFedezper averci svegliati dal divano, e soprattutto per aver ricordato a tutti quali sono gli scandali e quali no.La“famiglia reale italiana”, iFerragnez, può piacere o meno ma è indubbio che sia venuta a Sanremo per far parlare di sé, oltre che delle istanze che porta avanti, e che per il momento ci sia riuscita alla grande.Prima di Fedez,gli unici acuti di un serata sottotono erano state leparentesi dedicate ai diritti. Solidarietà per le donne iraniane Si è parlato diIrancon un discorso molto toccante che ha vistol’attivista italiana di origini iranianePegah Moshir Pour«nata con i racconti del Libro dei Re, cresciuta con i versi della Divina Commedia»slegarsi i capelliper mostrare solidarietà con le tante donne – ma anche uomini – che da settembre sono stati imprigionati o uccisi dalla polizia morale, per aver manifestato per la libertà e rivendicato la morte diMahsa Amini. L’attivista ha parlato di paradiso, citando la parola persianapardische significa giardino segreto: nel chiedersi se il suo popolo riuscirà mai a riappropriarsi del proprio paradiso, ha spianato la strada all’ingresso diDrusilla Foer, che ha poi intonato con leiBaraye, la canzone diventata l’inno della rivoluzione, scritta da Shervin Hajipour musicando i tweet dei ragazzi sulle libertà negate. Pochi giorni fa il brano ha vinto unGrammy, a testimonianza di come la musica molto spesso sia lo strumento più potente di tutti. Lo sanno bene al Festival, che poco prima aveva calato l’asso – anzi gli assi – della musica italiana, almeno quella di un tempo, con il trioMassimo Ranieri, Al Bano e Gianni Morandi, quest’ultimo salvo dall’effetto nostalgia perché, come si diceva un tempo, piace alle mamme, alle nonne e alle nipoti. Il monologo sulle carceri Non è mancato ovviamenteilmonologoche Sanremo concepisce quasi come unatassa da pagare per le donne all’Aristonche, a differenza degli uomini ai quali nulla di extra rispetto alla loro capacità di presentare è richiesto, per legittimare la loro presenza sembra debbano portare il tema delle elementari e dimostrazione che se sono lì è perché sono davvero brave e qualcosa sanno fare/dire. Fortunatamente il compito ieri è toccato aFrancesca Fagnani, che ha fatto vedere al pubblico cosa sia un monologo ben scritto.Il tema era di quelli difficilissimi ma attualissimi, ilcarcere. La giornalista ha portato sul palcole parole dei ragazzi delNisida,Napoli, che tra speranze e finta sicurezza trascorrono le giornate tra 4 mura troppo opprimenti per i sogni di quell’età. Fingono spavalderia sostenendo di non piangere mai, salvo poi farlo alla vista del padre, e dicono di non aver paura nemmeno durante una rapina perché «chi fa le cose per rabbia non ha paura».«Hanno 15 anni e gli occhi pieni di vuoto»spiega Francesca Fagnani, sottolineando quanto sia ingiusto vederli lì e ricordando come in Italiala prigione serva solo a punireil colpevole e non provi quasi mai a rendere chi esce migliore rispetto a quando è entrato. Questo vale per i ragazzi ma anche per gli adulti, anch’essi stretti nella morsa di unsistema carcerario che li dimentica, escludendoli alla vista della societàe che tutta Europa ci chiede da anni di migliorare. Impossibile ascoltare le parole di Fagnani e non pensare alla vicendaCospito, mai nominato ma fortemente presente; così come aStefano Cucchie ai tanti detenuti che negli istituti penitenziari del nostro Paese hanno conosciuto la violenza e, in alcuni casi, la morte. Cita senza nominarlo il Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, che avrebbe detto di essere contrario a uno schiaffo in carcere o in caserma per non far passare il detenuto da vittima, al quale ribatte«un detenuto non va picchiato perché lo Stato non può applicare le leggi della sopraffazione e della violenza». E poila scuola, individuata come unico strumento per evitare che altri giovani pensino di non avere alternative se non delinquere e finire dietro le sbarre; e lo Stato, troppo spesso assente, ma che invece «dovrebbe essere più sexy dell’illegalità». Temi forti e importanti che hanno reso la serata sicuramente intensa ma meno frizzante della prima. Amadeus ci ha provato sul finale a risollevarla, buttando sul palcoAngelo Durocon un monologo a tratti imbarazzante, a tratti sessista, a tratti non si capisce. Meno male che ci hanno pensato gliArticolo 31, ma ancora di piùPaola e Chiara, a portare una ventata di energia sul palco e a ribadire come la vita, molto spesso, sia tutta una questione diFurore.
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