A gennaio, laCorte Costituzionale ugandeseha decretato all’unanimità l’abolizionedella sezione 25 delComputer Misuse Actrelativa allecomunicazioni offensive.La legge che regola l’uso di internet, approvata nel 2011, è stata duramente attaccata da attivisti e attiviste per i diritti umani in quantolimita la libertà di espressione:veniva infatti utilizzata per mettere a tacere coloro che si esprimevano apertamente contro il Governo Museveni. La sezione 25, nello specifico,regolava l’utilizzo didispositivi elettronicied era stata utilizzata in passato per condannare chiunque si macchiasse del “crimine” di comunicazione offensiva, fino a un massimo di 5 anni di carcere. La Corte ha basato la propria scelta sul fatto che un simile provvedimento legislativolimitava la libertà di parola e di espressionee, in quanto tale, era inammissibile in un Paese democratico come l’Uganda (che ha anche firmato diversi trattati internazionali a tutela della libertà e dei diritti umani). La decisione è stata accolta con favore da buona parte della società civile, da attivisti e avvocati, anche daAmnesty International,che aveva duramente criticato laComputer misuse actalla sua entrata in vigore. L’abolizione della sezione 25 è dunque unpasso in avanti verso una maggiore garanzia dei diritti di espressione,manon cancella l’utilizzo indiscriminatoche ne è stato fatto in passato e che ha colpito molte voci illustri. Tra queste, c’èStella Nyanzi, oggi in esilio in Germania, che è stata arrestata 2 volte per aver espresso la sua opinione contro il Governo Museveni suisocial media. Nata a Masaka, classe 1974, antropologa, scrittrice e attivista femminista eLgbtq+, Nyanzi è stata per anni considerata una spina nel fianco dalle autorità ugandesi. Dopo la laurea in antropologia medica presso loUniversity College of Londone il PhD in antropologia sociale allaLondon School of Hygiene and Tropical Medicine,torna in Uganda, a Kampala, per lavorare come ricercatrice all’università. Nel2016fa parlare per la prima volta di sé quando, seguendo l’esempio delle attiviste di Femen,si spoglia in pubblico per protestare contro la chiusura del suo ufficio. Un gesto particolarmente potente in un contesto patriarcale e maschilista come quello ugandese, dove la nudità femminile è considerata sacra e non può essere esposta in pubblico. Nyanzi si mostra presto inarrestabile nella sua lotta, i cui capisaldi sono i diritti umani e, in particolare, quelli della comunità Lgbtq+ – perseguitata duramente in Uganda, l’omosessualità è infatti illegale e punita con il carcere – e delle donne. Nel 2017 lancia un atto d’accusa contro il Governo, sostenuto dall’hashtag#Pads4GirlsUg,chiedendo a Museveni dirispettare la propria promessa di fornire assorbenti gratuiti a tutte le studentessedel Paese, le quali spesso si trovano a dover saltare le lezioni non avendo i soldi per comprare i prodotti necessari. La polizia cerca di arginare la campagna con intimidazioni e proibendole ogni spostamento nel Paese ma lei, ignorando il divieto, inizia aandare di scuola in scuola per informare le giovani donne sui loro diritti.Arriva a essere invitata a parlare perfino alRotary Clubdi Kampala ma vienearrestata con l’accusa di aver offeso il Presidente. Nel 2018 arriva il secondo arresto, questa volta a causa di una poesia contro Museveni. La condanna al carcere derivava proprio dalla sezione 25 delComputer Misuse Actin base alla qualeNyanzi era stata accusata di cyberbullismoe comunicazione offensiva. In seguito all’abolizione del provvedimento, l’attivista si è detta soddisfatta ma allo stesso tempo anche scoraggiata.
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