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Afefobia, quando un abbraccio fa paura

 

Negli anni caratterizzati dallapandemiadi Covid-19ci siamo abituati a una nuova realtà distante da strette di mano e contatti socialie abbiamo interiorizzato la paura di quel contatto fisico che invece prima era centrale in ogni nostro incontro con gli altri. Elementi cardine dei qualiabbiamo dovuto fare a menosono stati gliabbracci. Per celebrarli e ricordarne l’importanza, ogni21 gennaiosi festeggia laGiornata mondiale degli abbracci,una ricorrenza istituita inMichigan nel 1986dal preteKevin Zaborneye poi diffusasi in tutto il mondo. Un giorno dedicato interamente al beneficio che un abbraccio sincero può portare all’intero organismo, la cui data è stata volutamente scelta all’interno del primo mese dell’anno e poco dopo la fine delle vacanzenatalizie, 2 momenti che per antonomasia sono più tristi e meno spensierati di altri. Secondo diversi studi gli effetti positivi concentrati in un abbraccio sono infinti. Lo psicologo statunitense David Schnarch ha constatato a esempio checon un abbraccio tra umani si riesce a sviluppare un legame affettivo molto profondo, più forte persino di un bacio. Ma non solo: questi gestici proteggerebbero anche dai malanni di stagionecome dimostra unaricerca americana del 2019secondo la quale dormire abbracciati diminuirebbe la probabilità di contrarre un raffreddore. L’abbraccio insomma ci rende meno rigidi e più rilassati maci aiuta anche a calibrare meglio le emozioni più intime.Una ricerca condotta dalla facoltà di Medicina dellaUniversity of Californiaha studiato gli effetti di questo tipo di contatto sul corpo umano, scoprendo che agisce sull’amigdala estimola la produzione di ossitocina,un ormone che agisce sulla sfera della sessualità e del benessere psico-fisico. Da questa scoperta si è sviluppata e diffusa in tutto il mondo laHug Teraphy, un tipo di terapia che si propone di abbassare i livelli diansiae stress proprio attraverso la potenza degli abbracci. Abbracciarsi è un gesto perlopiù spontaneo e rigenerativo che perònon tutti avvertono allo stesso modo. Esistono infatti persone che sviluppano una vera e propriapaura degli abbracci, nota in psicologia comeafefobiaoaptofobia, dal grecoapto, toccare ephobia, paura. Il timore di essere toccati o di toccare porta a una sensazione di estremo fastidio che si manifesta anche con persone vicine alla sfera intima e, nei casi, più gravi, può persino compromettere rapporti e relazioni. In letteratura non si trovano molti riferimenti sul tema perché spessol’afefobia viene inglobata all’interno dei disturbi di personalità, dello spettro autistico, evitanti o postraumaticima, come spiegaValeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Direttrice Clinica diUnobravo, «questo comportamento ha delle caratteristiche proprie che, in alcuni casi, può portare a problemi sociali più complessi e invalidanti». L’afefobia si manifesta attraverso un disturbo d’ansia e può portare a sudorazione eccessiva,tachicardia, nausea, tremore, dermatiti, pruriti, attacchi di panico o ansia, rimuginio ed evitamento. A questi a volte si aggiungono agorafobia, ansia sociale e problemi con la sessualità. La paura inconscia degli abbraccipuò interessare anche i bambinima in quel caso non si parla direttamente di afefobia ma di unrifiuto del contatto fisico in generale, a volte spia di un trauma avvenuto con altri coetanei in contesti scolastici o sportivi. Vigilare su questi atteggiamenti è fondamentaleperché potrebbero nascondere richieste di aiuto, la necessità di un’indipendenza maggiore da parte dei genitori o essere un’avvisaglia del sentimento di gelosia per l’arrivo di un fratellino o sorellina in famiglia. Se si ha a che fare con l’afefobia, come riuscire quindi a vivere più serenamente questa condizione? Secondo la Direttrice Clinica diUnobravo,è sicuramente utile prendere atto della necessità di unaterapia psicologicache porterà a «lavorare sulla fobia del contatto fisico individuando le cause profonde che l’hanno generata e le strategie più adatte alla persona per affrontarla». Una delle tecniche più utilizzate nell’aiuto al paziente, è quella dell’esposizione allo stimolo fobico. «Un ottimo strumento può essere, a esempio, la pet therapy», conclude l’esperta.

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