Categories: Diritti

Gwen Stefani e il caso di appropriazione culturale

 

Non è la prima volta cheGwen Stefanifa questo scivolone. È successo così tanto spesso che qualche commentatoresu Twitterha scritto: “L’appropriazione culturale è il suo secondo nome”. Lei, classe 1969, nata in California, è una delle postar più famose al mondo. In una recenteintervista, mentre promuoveva il suo marchio di bellezzaGxve Beautye ricordava la sua prima linea di fragranze, nel 2008, ispirata alla sottocultura giapponese diHarajuku, ha esclamato: «Mio Dio, sonogiapponesee non lo sapevo». Alla giornalista diAllureche le ha rivolto le domande sulla sua carriera e sulla sua nuova linea vegana, ha spiegato che suo padre lavorava nella compagnia giapponeseYamahaquando lei era piccola, viaggiando tra California e Giappone per molti anni. Stefani ha spiegato che c’èuna certa «innocenza»nel suo rapporto con la cultura del Sol Levante, di cui è «super fan». «Se mi criticano perché sono fan di qualcosa di bello e lo condivido, allora non credo che sia giusto. Penso che sia stato un bellissimo periodo di creatività, un periodo di incontro a ping-pong tra la cultura Harajuku e la cultura americana». Poi si è chiesta, a voce alta: «Dovrebbe essere giusto ispirarsi ad altre culture, perché se non ci è permesso, significa dividere le persone, giusto?». Quello che a Gwen Stefani sembra un innocuo“apprezzamento culturale”, agli occhi di altri può risultare un fenomeno di“appropriazione culturale”. Qual è la differenza? Il primo può mostrarsi in varie forme: dall’imparare una nuova lingua al cucinare un piatto tipico di una popolazione a cui non apparteniamo, approcciandosi con grande rispetto e comprensione. Quest’ultimo è un ingrediente essenziale, secondo James Young, autore di “Appropriazione culturale e arti”, perché “se si comprende un prodotto culturale, è improbabile che lo si usi in modi offensivi o altrimenti discutibili”. Young definisce l’appropriazione culturale “particolarmente controversa” perché, nel mondo contemporaneo, “individui provenienti da culture maggioritarie ricche e potenti spessosi appropriano di culture indigene e minoritarie svantaggiate”. Un lungo articolopubblicato sulNew York Times Style Magazinespiega che l’appropriazione culturale si presenta quando “un membro della cultura dominante – un insider – prende [qualcosa] da una cultura che storicamente è stata ed è ancora trattata come subordinata e ne trae profitto a spese di quella cultura. Il profitto è fondamentale”. Nel caso della lineaHarajuku Loversdi Stefani, bisogna considerare l’aspetto commerciale delle fragranze e della linea di abbigliamento. Inoltre, sui red carpet e nelle sue performance veniva accompagnata dalleHarajuku girls, le ballerine Maya Chino, Jennifer Kita, Rino Nakasone e Mayuko Kitayama, facendo ciò che l’enciclopediaBritannicasiglacome appropriazione culturale:adottando “elementi culturali di un gruppo di minoranza in modo strumentale, irrispettoso o stereotipato”. Le quattro incarnano una categoria di ragazze giapponesi, perlopiù adolescenti, che si vestono in modo vistoso e stravagante, mischiando stili nipponici differenti. Prendono il nome dall’omonimo quartiere di Tokyo. Stefani ha sempre negato le accuse che le sono state rivolte dagli anni Novanta a oggi, e non solo in merito alla cultura giapponese: a Disneyland, lo scorso Natale, la sua performance di”Feliz Navidad”è stata oggetto di molte battute online (vedi commento sul secondo nome di Gwen Stefani in cima all’articolo). La canzone fu scritta e cantata nel 1970 dal portoricano José Feliciano, quarto di undici figli in una famiglia molto povera di Porto Rico (oltre che cieco dalla nascita). C’è chi sostiene che l’appropriazione culturale vada vista positivamente, comeun modo per prendere in prestito o trarre ispirazione da altre culture, “cosa che è accaduta nel corso della storia e senza la quale la civiltà appassirebbe e morirebbe”, scrive ilNyt Style Magazine. Gwen Stefani ha affermato di non rimpiangere affatto la sua era di Harajuku, perché «tutto quello che ho fatto con le Harajuku Girls è stato solo un puro complimento e un essere fan. Non puoi essere fan di qualcun altro? O di un’altra cultura? Certo che puoi. Certo che puoi celebrare altre culture», dissein un’intervistanel 2014. E non è l’unica a pensare che questo non abbia nulla a che fare con la banalizzazione di una cultura rappresentata in modo stereotipato: ricordate la campagna diDolce&Gabbanache mostrava una modella cinese che tentava di mangiare gli spaghetti con le bacchette? A nessun componente del team dei grandi stilisti italiani balenò per la mente che potesse trattarsi di un mix letale trarazzismoe appropriazione culturale. Episodi come questi ci ricordano chec’è ancora molto lavoro da fare.

Redazione

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