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“Numero 3, Sara Gama”: il calcio è uno sport per donne

 

«Porto il numero 3 sulla magliae il numero 3 della nostra bellissima Costituzione vorrei leggervi: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica”, che siamo tutti noi, “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”». Queste sono state le parole conclusive del discorso dellacalciatriceSara Gama- semplice, ma molto sentito ed efficace – davanti al Presidente della Repubblica. Il tutto all’indomani della vittoria ai mondiali di Italia-Brasile (2019) che, innegabilmente, aveva acceso ulteriormente i riflettori sulla Nazionale italiana. Questo momento, che segna la storia, arriva sia all’interno del percorso personale (di Gama) e collettivo (delle sue colleghe) che in un punto del documentarioNumero 3, Sara Gama,in cui lo spettatore ha seguito, tramite le varietestimonianze, che cosa queste donne – con il supporto di chi hanno incontrato – sono riuscite a costruire, vincendo pregiudizi. Questo lavoro non è solo un omaggio allacapitana della Nazionale Italiana,ma testimonia le tappe che hanno portato al cambiamento epocale delcalcio femminileitaliano. Ildocumentario di Martina Proietti e Giuseppe Rolli,prodotto daRai Documentariper la regia di Fedora Sasso (in prima visione domani, venerdì 13 gennaio alle 16:00 su Rai 3) comincia inquadrando gli scarpini da calcio: sono pronte per essere incalzate daAgata, una bambina bionda di5 anni,che “gode” delle lotte compiute dalla generazione di Gama. «Quanto c’è di Agata in me?Quella è l’essenza – ha dichiarato Gama in conferenza stampa aggiungendo -Senza la voglia che si ha quando si è piccoli non si va avanti.È fondamentale, specialmente per ilcalcio, che è unosportcon una componente di divertimento importante; quando viene a mancare non è la stessa cosa. Si possono fare schemi, ma poi c’è una componente di fantasia che non è quantificabile e di relazione con le persone. Oggi spesso incardiniamo con tanta tattica ma alla fineil calcio è il gioco più bello del mondo perché è imprevedibile. Dobbiamo essere felici perché lo rappresentiamo. Io ho sempre cercato di tenere a mente lo spirito di Agata, non è semplice, ma oggi più di prima mi chiedo se non sia solo quella la cosa più importante da mantenere e forse è dove uno deve ritornare prima di chiudere le cose». InNumero 3, Sara Gamasi respirano la semplicità e la determinazione della donna e calciatrice triestina, la quale, partita dopo partita (anche in senso metaforico), ha segnato la sua strada, prima con l’inconsapevolezza e la genuinità proprie dell’infanzia, poi, crescendo, con la tenacia di chi vorrebbefare della passione un mestiere. Capitana della Nazionale italiana e della Juventus Women,Speedy(le è rimasto il soprannome anche da adulta) racconta di quando era bambina e giocava coi ragazzi del rione e iprimi passi nei campi da calcio a Trieste: un inizio difficile, tutto in salita, per una bambina che praticauno sport per soli maschi.Gioca prima nelTavagnacco, una delle realtà di punta del nostro movimento calcistico femminile negli anni‘90, poi nel Brescia. La sua carriera decolla con l’esperienza internazionaleda professionista nelParis Saint Germain,in uno dei campionati migliori al mondo, laDivision 1 Féminine, in cui le arriva la prima busta paga. Gama però sceglie di ritornare in Italia, a Brescia, portando con sé quell’esperienza e la voglia di ricominciare e cambiare: vince tutto, fino ai quarti di Champions e lotta per ilriconoscimento dei diritti del calcio professionistico femminilea livello federale. Fino all’approdo, nel 2017, alla Juventus, tra le prime squadre in Italia a credere e investire nel calcio femminile. I suoi racconti si intrecciano coicontributi dei suoi primi allenatori,delle amiche di infanzia, delle colleghe come Barbara Bonansea e Cristiana Girelli, ma anche personalità del mondo del calcio e delle Istituzioni: il campione juventino Claudio Marchisio, Milena Bertolini, commissaria tecnica della nazionale femminile, Gabriele Gravina, Presidente della Figc, Lapo Elkann e Evelina Christillin e i giornalisti sportivi Donatella Scarnati e Pier Luigi Pardo. Un merito che va riconosciuto a Sara Gama è proprio quello diaver portato alla luceun tema per anni sottaciuto (è anche consigliera federale della Figc dal 2018, oltre che vicepresidente Aic dal 2020): laparità di generein uno sport come ilcalcio, visto – prima di questa rivoluzione – come appannaggio degli uomini. «Oggi le ragazzine possono pensare di giocare a calcio e farne lapropria professionecon le tutele garantite come tutti i lavoratori.Questo è il lascito della mia generazione a quelle successive».

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