Il 2023 inizia con la solita premessa: per combattere la crisi del clima – ci ricorda la scienza – dobbiamo lavorare per azzerare le emissioni, soprattutto quelle legate aicombustibili fossili. Ecco perché -sebbene per ora non ci siano conferme ufficiali da parte delle Nazioni Unitemasi parla soltanto di indiscrezioni- la notizia che la prossimaCop28 a Dubaipossa esserepresieduta dalCeo di una delle più importanti compagnie petrolifere, ovveroil sultanobin Ahmed Al Jaber, capo dellaAbu Dhabi National Oil Company(Adnoc) e oggi ministro dell’industria e della tecnologia negli Emirati Arabi, è di quelle che fanno storcere il naso. Nell’ultima e criticata edizione dellaConferenza delle parti sul clima,il vertice che dovrebbe essere un momento chiave a livello mondiale per trovare soluzioni all’emergenza climatica, si è registrata la presenzadel25% in più di lobbisti (oltre 600)che giravano fra i padiglioni di Cop27 rispetto al 2021. A fine conferenza, inoltre,non c’è stato l’accordo sperato,tale da mettere nero su bianco la necessità di un freno alle emissioni da “fonti fossili”, in particolare petrolio, carbone e gas. Se da una parte è stata accolta con entusiasmo l’idea di una futura Cop nel Brasile di Lula e della martoriata Amazzonia, dall’altra molti dei decisori sulle politiche per salvaguardare la salute del Pianeta si sono dati appuntamento a quest’anno con la consapevolezza cheuna Conferenza tenuta a Dubai avrebbe vistouna forte presenza di imprenditori dell’oil and gas degli Emiratiinteressati a continuare a veleggiare con gli affari legati al petrolio. Sensazioni che prenderanno probabilmente sempre più corpo se a presiedere la futura Conferenza ci sarà davvero il Ceo di una multinazionale del greggio. La notizia è rimbalzata tra newsletter,tweetdi giornalisti francesi e forum sul web: per ora però non c’è ancora nulla di ufficiale e il fatto che sarà il sultano Al Jaber a guidare il futuro vertice resta soltanto una possibilità. Attualmente Al Jaber è stato nominato come “inviato speciale sul clima” degli Emirati.Eppure, in caso di conferme alla presidenza, potrebbe risultare un colpo basso per una Conferenza – quella del 2023 – in cui si attendono passi importanti a esempio sull’attuazione dell’Accordo di Parigi, la stretta al metano, l’aumento delle rinnovabili o appunto l’incremento di strategie per ridurre le emissioni e finanziare i paesi più vulnerabili. Una sorta di ultimo vertice prima che ormai sia realmente troppo tardi per invertire la rotta climatica. Conferme o smentite sulla futura nomina del sultano potrebbero comunque arrivare a breve: il 14 gennaio inizierà laAbu Dhabi Sustainability Week,potenziale cornice per un annuncio.Al Jaber, nonostante le incongruenze con il suo ruolo nell’industria petrolifera, ha avviato diversi progetti legati alla causa ambientale in Medio Oriente per esempio quelli che puntano sulle tecnologie per la cattura di CO2. Ma anche una serie di progetti di ampliamento di energie rinnovabili oppure di tecnologie a idrogeno. Il sultano è anche presidente diMasdarche si presenta come “leader mondiale nelle energie rinnovabili e nello sviluppo sostenibile” . Gli permetterà, questa sua doppia faccia -da una parte portatore di una certa rivoluzione verde(ma non basata sull’abbandono delle fonti fossili) edall’altra Ceo di una multinazionale del petrolio- di ottenere la guida della futura Conferenza sul clima? E come impatterà questo sulla credibilità di una Cop che tra lobbisti del fossile egreenwashingè sempre più criticata? Domande alle quali, nel caso, presto dovranno dare risposta le Nazioni Unite.
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