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Alzheimer e Parkinson: un’origine comune?

 

I morbi diAlzheimereParkinsonpotrebbero avere un’origine comune. Ad avanzare l’ipotesi sono 3 ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione(Istc) delCnr(Consiglio nazionale delle ricerche). Secondo lo studio,pubblicatosulla rivistaIbro Neuroscience Reports,all’origine di entrambe le patologie ci sarebbe lo stesso meccanismo neurodegenerativo, che i ricercatori hanno ribattezzatoSindrome neurodegenerativa dell’anziano(Nes). «La Nes è caratterizzata da3 stadi progressivi, la prima fase inizia molti anni prima rispetto al manifestarsi dei sintomi clinici tipici delle 2 malattie, e in essa si può avere una progressiva perdita di neuroni che producono due importanti sostanze neuromodulatrici: noradrenalina e serotonina», spiegaDaniele Caligiore, primo autore dell’articolo pubblicato insieme aFlora GiocondoeMassimo Silvetti. «La perdita iniziale di questi neuroni neuromodulatori non produce però nel comportamento della persona alcun sintomo evidente che possa essere riconducibile ad Alzheimer o Parkinson – aggiunge Caligiore – Le disfunzioni inizialipossono essere dovute a diversi fattori genetici, ambientali o legati allo stile di vita, che chiamiamo semi, e possono interessare diverse parti del corpo». Se confermata da futuri studi empirici, l’ipotesi potrebberivoluzionare la ricercanell’ambito di queste due malattie neurodegenerative, indicandonuove strade per la diagnosi precocee per lo sviluppo di terapie da attuare prima della manifestazione di sintomi clinici espliciti. Anche l’intelligenza artificialepotrebbe essere uno strumento per verificare o confutare l’ipotesi Nes. «A questo proposito – sottolinea Caligiore – stiamo sviluppando deglialgoritmi di machine learningper combinare e analizzare grandi quantità di dati eterogenei (clinici, genetici, di risonanza magnetica) su Alzheimer e Parkinson messi a disposizione da database internazionali per la ricerca scientifica, comeAdni(Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative,ndr.) ePpmi(Parkinson’s Progression Markers Initiative,ndr.) allo scopo di trovare delle traiettorie di neurodegenerazione comuni tra le 2 malattie». Una notizia che fa il paio con quella arrivata sulfronte farmacologico. Il 29 novembre sono statipubblicatii dati completi della sperimentazione clinica delLecanemab, un nuovo farmaco per combattere l’Alzheimer sviluppato dalla società farmaceutica giapponeseEisaiinsieme alla multinazionale di biotecnologie statunitenseBiogen. I risultati confermano cheil farmaco riduce il declino delle capacità mentali complessive dei pazienti del 27% in 18 mesi. «Questo è il primo farmaco che fornisce una vera opzione di trattamento per i malati di Alzheimer – ha affermato Bart De Strooper, direttore delDementia Research Institutedel Regno Unito presso l’University Collegedi Londra – Sebbene i benefici clinici appaiano alquanto limitati, ci si può aspettare che diventeranno più evidenti nel tempo». Al momento non esiste alcun trattamento ufficiale per curare la demenza senile e il morbo di Alzheimer, e prima di esultare sarà opportuno attendere l’autorizzazione da parte delle diverse autorità di regolamentazione. Dopo ilfallimentodi diversesperimentazionifarmacologiche, negli ultimi anni i ricercatori hanno riconsiderato l’importanza dell’approccio preventivo. Una commissione scientifica diLancet,tra le più importanti riviste internazionali in campo medico, ha stimato stima checirca il 40% dei casi di demenza senile potrebbe essere prevenuto o ritardatoeliminandofattori di rischiocome pressione alta, bassi livelli di istruzione o contatto sociale, problemi di vista e udito, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, consumo eccessivo di alcol e inquinamento atmosferico.

Redazione

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