In Italia, l’inflazionemedia per l’anno 2022 si attesta al7,5%, al di sotto del tasso diinflazionerilevato nell’area euro che, secondo i dati riportati dalla Commissione Europea, a ottobre ha raggiuntoil10,6%. I tassi d’inflazione elevati derivano soprattutto dallacontinua erosione delpotere d’acquistoe dalla ridistribuzione del reddito dai creditori ai debitori, motivo per il quale le autorità monetarie competenti cercano di contrastarne l’aumento. Dopo i mesi vissuti tra continue corse al rialzo dei prezzi di energia, materie prime, semilavorati e prodotti industriali, si iniziano a intravedere i primi segnali di unpossibile rallentamento dell’inflazione. Nel resoconto del meeting della Banca Centrale si legge che tutti i membri del Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) hanno concordato che è giusto continuare anormalizzare la politica monetariarimuovendo l’accomodamento. Uno degli argomenti emersi è che, nel caso di una recessione mite, la Bce dovrebbe continuare a normalizzare la politica monetaria con tassi alti, ma potrebbe decidere unapausa se vi fosse una recessione profondae prolungata. Dalla metà del prossimo annoil tasso d’inflazione dovrebbe iniziare a diminuire;in questo momento siamo vicini al suo picco, con il rischio che questo possa portare l’area euro a una recessione. Le prospettive sono comunquemigliori rispetto alle precedenti previsioni, perché non ci sarà il razionamento dell’energia ed è in corso un suo calo di prezzo. Il vicepresidente della Bce,Luis Guindos, nel corso dell’Analysis Forumdi Milano, ha affermato che le previsioni della Banca Centrale Europea e dell’Unione Europea vanno nella stessa direzione, verso unacrescita bassa dell’economia dell’Europa e un’inflazione alta. Spiega poi che la situazione delle banche è buona e che la cosa che preoccupa di più è la situazione delle imprese non bancarie e dellefamiglie a basso reddito. Il piano attuato dalle banche centrali è evidente: spingere sullarestrizione monetariaper stroncare sul nascere le aspettative di inflazione futura, oppure drenando progressivamente l’eccesso di liquidità, erogandoprestiti a favore delle banchesenza limiti d’importo. Negli ultimi mesi la domanda ha continuato a ridursi e a sua volta si sono alleggeriti i prezzi, soprattutto per il settore manifatturiero. Quindi, mentre i costi affrontati dalle aziende hanno indicato l’aumento più lento in 14 mesi, si è potuta consentire una moderazione della crescita dei prezzi di vendita (nonostante i tassi di inflazione siano rimasti elevati). Contro ogni aspettativa, la stima flash sull’indice Pmi –Purchasing Manager Index– sull’attività economica dell’eurozona a novembre, lascia sperare in unarecessione meno grave del previsto,risalendo a 47,8 punti da 47,3 del mese precedente. Questo indice riflette lacapacità di acquisizione di beni e servizi, tenendo conto di nuovi ordini, produzione, occupazione, consegne e scorte, dell’attività manifatturiera di un Paese. Pur rimanendo sotto quota 50, soglia che separa l’espansione dalla contrazione dell’attività, l’indice scongiura un ulteriore peggioramento delle prospettive economiche. All’interno dell’eurozona, laGermaniaha segnato il crollo maggiore con un Pmi composito a 46,4, segnando ilquinto mese consecutivo di contrazione. Crolla anche laFrancia,dove si è attestato a 48,8, segnando il primo calo effettivo dell’attività per la prima volta da febbraio 2021. Per i restanti Paesi,la produzione si è contratta per il terzo mese consecutivo, anche se il valore di novembre è stato il minore. Questi dati lanciano untimido segnale di ottimismoe secondoChris Williamson, Chief Business Economist alS&P Global Market Intelligence, la stretta della Bce sta iniziando a dare i suoi frutti e la pressione sui prezzi sta iniziando a mostrare i primi segnali di rallentamento. Una recessione resta comunque probabile, ma gli ultimi dati fanno sperare chel’entità della contrazione potrebbe non essere cosi gravecome si temeva in precedenza.
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