Categories: Diritti

#freenotfreezed: una libertà che costa

 

C’è una statua di ghiaccio in piazza di Pietra. È una donna, congelata in movimento a pochi passi dai palazzi delle istituzioni, aRoma, capitale in cui di tutto si parla e niente si fa per contrastare il fenomeno dellaviolenza contro le donnee le ragazze, tema di cui si discuterà per tutto il mese di novembre, in vista della giornata dedicata. La statua è stata collocata daActionAid, che come ogni anno ha lanciato una campagna per sollecitare la politica a intervenire sul problema della violenza domestica: dopo il successo di#call4margheritanel denunciare la situazione deicentri antiviolenza, mal finanziati, abbandonati quando non direttamente minacciati di sfratto dalle autorità cittadine, è la volta di#freenotfreezed, che si prende una piccola libertà grammaticale per parlare di un tema fondamentale, vale a dire: come sosteniamo le donne che escono da relazioni di abuso? Questo è il punto in cui dichiaro il mio conflitto d’interessi: è il mio quarto anno consecutivo di partecipazione attiva alle iniziative di ActionAid sul fronte della violenza di genere. Non guardo a queste campagne da lontano, ma con la vicinanza di chi è coinvolta in prima persona. La campagna 2022 arriva in un momento storico particolare, che vede una donna (di destra conservatrice) alla guida del governo, e una ex femminista (ora fondamentalista cattolica) al fuMinistero della Famiglia e delle Pari Opportunità, ribattezzato con l’aggiunta di una delega alla Natalità. Fino qui, néGiorgia MeloninéEugenia Roccellahanno manifestato ampie vedute sul tema della violenza di genere. Né ho notizia di grossi interventi sul fronte del sostegno economico e sociale alle donne che, avendo completato la lunga traversata nel deserto che precede e segue la decisione di lasciare un uomo abusante (i dati Istat del 2020 ci dicono cheil 92,2% delle donne uccise è morta per mano del partner), cercano di tornare alla vita e al lavoro, ma faticano a ricollocarsi, o anche solo a trovare una casa che possa accoglierle. I governi conservatori tendono a evitare il problema adottando soluzioni vagamente repressive e inasprendo le pene: sono interventi a costo zero, che non intaccano il problema e non fungono da deterrente. Non servono a niente, insomma, come dimostra la sostanziale inutilità diCodice Rosso, la legge varata dal governo gialloverde. Le donne continuano a morire, inascoltate: si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare quelle morti? Certo: mala prevenzione costa. Ogni giorno in cui lo Stato rifiuta di avviare un programma serio e capillare di formazione sui temi dell’affettività, dei rapporti e delle dinamiche familiari e sull’educazione emotivo-relazionale è un giorno in più che si aggiunge al gigantesco debito che accumuliamo nei confronti delle donne che subiscono le conseguenze di quella mala educazione. Bisognerebbe intervenire subito, a partire dalle scuole dell’infanzia per arrivare fino ai vertici delle forze dell’ordine incaricati di raccogliere le denunce, nonché ai politici più refrattari a riconoscere l’aspetto culturale della questione: invece no, si grida alla “dittatura del gender”. Come intervento è più economico, non c’è che dire. Servono soldi. Fondi, strutture, formazione, sono tutte cose che costano. Strumentalizzare gli episodi di violenza da parte di stranieri, invece, è gratis. È gratis anche la condanna sporadica dei singoli casi, come è gratis – anzi, no – continuare a ignorare il problema, semplicemente perché l’oppressione delle donne non è uno spiacevole glitch del sistema, è la pietra fondativa del suo funzionamento. Il patriarcato capitalista ha bisogno del lavoro gratuito o sottopagato delle soggettività oppresse. Le donne che si liberano, che cercano di autodeterminarsi e cercano di andare verso l’indipendenza economica rappresentano una minaccia: vanno tenute in uno stato di sudditanza, ridotte alla maternità, alla cura, al servizio. Il fatto di avere aspettative basse non significa rinunciare a chiedere interventi che sono sacrosanti. Meglio chiedere, e ricevere un rifiuto, che rimanere congelate in un’attesa perenne. Per questo ho firmato la petizione per chiedere che la politica si attivi per garantiresostegno economico e abitativo alle donne che si sottraggono agli abusi, perché non debbano più dipendere dai loro compagni e possano andarsene in qualsiasi momento, preferibilmente prima di morire o di perdere del tutto la fiducia nella capacità di farcela da sole. Libere, non immobili, mai (più) vittime: questo è l’orizzonte.

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