Volevano raggiungere la terraferma. E così si sono tuffati in mare dalla nave che li ha soccorsi:3 migrantia bordo dellaGeo Barents, la nave di Medici senza frontiere ormeggiata nel porto di Catania dal primo pomeriggio di domenica 6 novembre, hanno scelto diaffidare ancora una voltail proprio futuro al mare. Ma, dopo aver nuotato fino a un galleggiante, sono stati recuperati dalle autorità e riportati sul molo. Stanno bene, ma è evidente che il loro desiderio di sbarcare dalla nave umanitaria si sta facendo sempre più necessario. I 3 che si sono gettati nelle acque del Mediterraneo fanno parte dei 214 migranti ancora a bordo della nave che batte bandiera norvegese: ieri, una volta attraccati, ne sono scesi 357, un altro è stato evacuato nella notte. Nel porto siciliano è arrivata anche laHumanity 1diSos Humanity, da cui ieri sono scese 144 persone. Ne rimangono 35, non ritenute abbastanza “fragili” dalla commissione medica degli Usmaf, gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera che ieri hanno esaminato le condizioni dei migranti a bordo. Come riportaAdnkronos, secondo il team sanitario diMediterranea Saving Humans, “laselezione dei naufraghi meritevoli di uno sbarcoin un porto sicuro si basa su criteri di tipo sanitario, ovvero sulla valutazione, da parte dei medici Usmaf, di condizioni di sufficiente vulnerabilità, tali da poter ‘meritare’ lo sbarco”. La ong si chiede come l’aver passato mesi e anniin Libia“subendotorture, stupri e violenze di ogni tipo”,e l’essere costretti a “tentare la traversata del Mediterraneo su imbarcazioni precarie e in condizioni di sovraffollamento senza cibo e acqua per giorni”, non possa determinare una condizione di vulnerabilità. Poche ore fa più di 200 medici del team sanitario della Ong Mediterraneahanno denunciatoi colleghi dell’Usmaf allaFederazione nazionale Ordine medici chirurghi e odontoiatriper le misure “discriminatore e degradanti la dignità umana”, in netta violazione del Codice deontologico medico. “Il decreto dei ministriPiantedosi, Salvini e Crosetto”, spiegano, “è contrario al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, sanciti dalle convenzioni internazionali”.Il decreto interministeriale in questione, firmato dai ministri dell’Interno, delle Infrastrutture e della Difesa, autorizza la sosta delle navi nel porto solo ed esclusivamente per il periodo necessario alla verifica delle fragilità a bordo, e poi la obbliga a ripartire. Per questo i più “meritevoli” sono stati i minori, le donne, le famiglie e i migranti che presentano patologie o problemi di salute. Non tutti hanno accettato la nuova norma: la ongSos Humanity 1, attraverso le parole dell’advocacy officer Mirka Schäfer,ha presentato ricorsoal Tar del Laziocontro il decreto perché «secondo il diritto internazionale, un’operazione di ricerca e soccorso si conclude con lo sbarco dei sopravvissuti in un luogo sicuro. È illegale consentire lo sbarco solo a pochi eletti sopravvissuti. Inoltre, respingere tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali costituisce una forma di respingimento collettivo e quindi viola sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che il principio di non respingimento della Convenzione di Ginevra sui rifugiati». Il legale diHumanity 1Riccardo Campochiaroha spiegato aRai Newsche domani si recherà in Tribunale a Catania per presentare la richiesta, perché «non ci sono al momento alternative per smuovere la situazione che sembra essere stagnante». Il comandante tedesco dellaHumanity 1,Joachim Ebeling, che ha ricevuto dalla capitaneria di porto l’ordine di tornare in acque internazionali, si è rifiutato di partire dal porto di Catania perché, come ha spiegato in un’intervista al quotidianoRepubblica, «Se adesso andassi via violerei una serie infinita di leggie convenzioni internazionali e qui al porto di Catania non sto facendo nulla di illegale». Ebeling chiede che ai 35 ancora a bordo sia permesso di sbarcare immediatamente dalla nave. Secondola Commissione europea, che ha accolto favorevolmente lo sbarco dei migranti in Italia, vi è «il dovere morale e legale di salvare le persone in mare, in base alle leggi internazionali». Ma, ha specificato la portavoce Ue per gli Affari Interni Anitta Hipper, «l’esecutivo Ue non è responsabile del coordinamento delle operazioni di soccorso». La competenza è degli Stati membri.
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